Col primo intervento di miomectomia uterina i sanitari dimenticavano in addome una garza laparotomica che rendeva necessario un secondo intervento durante il quale non venivano applicati correttamente i punti di sutura causando una peritonite diffusa (Tribunale di Bari, Sez. II, sentenza n. 240/2021 del 21 gennaio 2021)

La paziente conviene a giudizio l’Azienda Ospedaliera e 2 Medici chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali per un totale di euro 1.161.373,00, derivanti dagli interventi chirurgici eseguiti in data 20.3.1997 e 7.4.1997 presso la Clinica Ginecologica di Bari. La donna veniva ricoverata presso la Clinica per essere sottoposta ad intervento chirurgico di miomectomia uterina.

Nella fase immediatamente successiva al risveglio dall’anestesia accusava fortissimi dolori addominali, nonché stati febbrili che si protraevano per giorni. I medici tutti, sia quelli appartenenti all’ equipe che aveva eseguito l’intervento, che quelli che l’avevano visitata in seguito, attribuivano tali sintomatologie al normale iter post-operatorio e la dimettevano in data 27.3.1997 prescrivendole terapia antibiotica intramuscolare.

In data 2.4.1997, in occasione della rimozione dei punti di sutura la donna veniva rassicurata circa i forti dolori addominali più volte lamentati, attribuiti nuovamente al normale decorso post-operatorio.

Il giorno 7.4.1997, a seguito di esame radiografico ed ecografico, veniva annunciata annunciava la necessità con urgenza ad un secondo intervento chirurgico al fine di ” dipanare alcune anse intestinali che si erano adese “.

Anche il decorso post-operatorio del secondo intervento si dimostrava travagliato, al punto che in data 11.4.1997 la donna veniva visitata dal Direttore della Clinica Chirurgica, il quale, diagnosticata una “peritonite diffusa ed ileo paralitico”, la sottoponeva ad un terzo intervento salva-vita di urgenza.

Altri due interventi seguivano quest’ultimo nel corso dei quali la donna subiva l’asportazione di un tratto di intestino: uno per favorire e completare il drenaggio del materiale organico che si formava nella cavità addominale e l’altro per rimuovere il drenaggio e ripristinare la situazione anatomica nella sua originaria fisiologia.

In data 20.4.2006 e 24 .5.2006 la paziente veniva sottoposta a metroplastica resettoscopica e a plastica della parete addominale per correggere un laparocele mediano sottombelicale.

Solo successivamente, dalla lettura della cartella clinica, la donna veniva a conoscenza del fatto che durante il secondo intervento eseguito in data 7.4.1997 , era stata reperita in addome una garza laparotomica delle dimensioni di cm. 30 x 20, della cui esistenza , rilevata dai medici a seguito della ecografia , non le era mai stato fatto cenno alcuno e che, sempre in detta occasione, gli operatori avevano apposto erroneamente alcuni punti di sutura sull’ultima ansa intestinale, generando così la peritonite riscontrata e curata dal Primario che nel corso dell’intervento d’urgenza da lui effettuato in data 11.4.1997, all’apertura dell’addome aveva riscontrato “una peritonite diffusa dovuta alla presenza di perforazioni multiple dell’ultima ansa intestinale, in corrispondenza di alcuni punti di sutura apposti nei precedenti interventi”.

Per effetto dei descritti interventi chirurgici l’attrice aveva riportato: danno estetico da cicatrici e tensione addominale; ipoestesia dei quadranti inferiori dell’addome; episodi di pavor notturno; continui stati depressivi; gravissima compromissione della capacità di procreare, riportando un complessivo danno biologico pari all’80%.

La causa viene istruita con CTU Medico-Legale, al cui esito il Tribunale ritiene la domanda fondata.

Il Tribunale, preliminarmente da atto delle modifiche intervenute in materia di responsabilità sanitaria, soffermandosi sulla qualificazione della natura contrattuale dell’obbligazione e relativi oneri probatori delle parti.

Muovendo da tali principi viene affermata la responsabilità ex art. 1218 c.c. della struttura sanitaria e dei medici

Nello specifico, in occasione del primo intervento eseguito in data 20.3.1997, i sanitari dimenticavano in addome una garza laparotomica che avrebbe poi reso necessario un secondo intervento, quello eseguito in data 7.4.1997, per la rimozione della stessa, durante il quale non venivano applicati correttamente i punti di sutura causando , così, una peritonite diffusa.

La garza laparotomica dimenticata in sede intra-addominale dai medici nel corso del primo intervento rendeva necessario un secondo intervento dal quale, però, non derivava un miglioramento della situazione come ci si sarebbe aspettato, bensì un netto peggioramento del quadro clinico che rendeva necessario un intervento d’urgenza “salva -vita” a cura del Primario che riscontrava “una peritonite diffusa dovuta alla presenza di perforazioni multiple dell’ultima ansa intestinale, in corrispondenza di alcuni punti di sutura apposti nei precedenti interventi”.

Il secondo intervento determinava e aggravava il quadro infettivo di peritonite diffusa causato dalla dimenticanza della garza in addome e dalla apposizione dei punti di sutura in modo del tutto errato: la garza abbandonata nello scavo pelvico determinava anche una sindrome occlusiva ed un fenomeno settico, aggravato dalle manovre dei sanitari intervenuti.

Il Primario, chiamato a teste, ha chiarito che “lo stato settico era stato determinato dalla deiscenza delle suture poste nel secondo intervento chirurgico eseguito sulle anse intestinali che avevano determinato la fuoriuscita del contenuto intestinale provocandone la peritonite diffusa.”

Il CTU, ha confermato l’esistenza del nesso causale tra le lesioni lamentate e l’iter diagnostico -terapeutico seguito ed ha chiarito che “la dimenticanza della garza in addome nel corso dell’intervento del 20.3.1997, aveva determinato la necessità di un re -intervento (quello eseguito in data 7.4.1997). L’imperizia nell’esecuzione di quest’ultimo rendeva necessario un terzo intervento di “urgenza ” salva -vita (eseguito in data 11.4.1997) che provocava multiple cicatrici addominopelviche, applicazione di ano preternaturale successivamente rimosso: quadro clinico così compromesso da essere causa del successivo disturbo depressivo persistente.”

In conclusione, il Tribunale dichiara la responsabilità contrattuale di pari grado dei Medici convenuti.

Venendo al ristoro dei danni il CTU ha quantificato nella misura complessiva del 23% i postumi permanenti con inabilità totale di giorni 180 e parziale al 50% di giorni 120, di cui per danno estetico di grado moderato 9% e danno psichico 10%.

Per la liquidazione vengono utilizzate le Tabelle milanesi addivenendosi all’importo di euro 153.518,00, oltre interessi a titolo di danno biologico.

I convenuti vengono inoltre condannati al pagamento delle spese di CTU e alle spese di giudizio.

Avv. Emanuela Foligno

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