La condizione di difficoltà economica in cui versi l’imprenditore non è motivo di per se per escludere la rilevanza penale della omissione contributiva delle ritenute previdenziali ed assistenziali dovute nella propria veste di sostituto d’imposta

Il reato di omissione contributiva previsto dall’art. 2 comma 1-bis del decreto legge 12 settembre 1983 n. 463, convertito nella legge 11 novembre 1983 n. 638, è punito a titolo di dolo generico, che è integrato dalla coscienza e volontà dell’omissione e/o della tardività del versamento.

Affinché sussista il reato è necessario che, alla scadenza del termine previsto per il versamento e non successivamente ad esso, il soggetto obbligato agente abbia manifestato volontà di trattenere per se i contributi a fronte della contestualità e della indefettibilità della obbligazione.

Si tratta di una fattispecie delittuosa che è stata negli ultimi anni oggetto di diversi tentativi di depenalizzazione, da ultimo con la delega al governo in forza di legge 28 aprile 2014 n. 67 quantomeno per le omissioni di importo inferiore a 10 mila euro. Siffatti tentativi non andati a buon fine mancando i necessari decreti attuativi, e dunque la fattispecie conserva la propria rilevanza, per qualunque importo sia in contestazione, come confermato dalla sentenza in commento e dalla giurisprudenza precedente.

Il dolo per come qualificato deve sussistere al momento della condotta omissiva, e non può essere sostituito o sopperito dalla successiva conoscenza delle violazioni già consumate a seguito della notifica dell’avviso di accertamento da parte di INPS, che rileva unicamente per consentire l’eventuale ravvedimento operoso dell’obbligato, fino a quel momento inadempiente.

In questi termini si pronuncia Cassazione Penale sez III 9.4.2018 n. 15786, con sentenza che si inserisce in un ampio numero di precedenti, sia nella giurisprudenza di merito che della stessa Corte Suprema.

Invero siamo di fronte ad un reato omissivo istantaneo che si consuma nel momento stesso in cui scada inutilmente il termine concesso al datore di lavoro per il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali dovute a nulla quindi rilevando il momento – necessariamente successivo di accertamento del reato stesso. Una linea di rigore già fatta propria dagli Ermellini con il recente arresto 10 agosto 2017 n. 39072 in base al quale la condizione di difficoltà economica in cui versi l’imprenditore non è motivo di per se per escludere la rilevanza penale della omissione contributiva del versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali dovute nella propria veste di sostituto d’imposta.

Infatti l’impossibilità ad adempiere ai versamenti dovuti non è in concreto deducibile come esimente perché la punibilità della condotta viene individuata generalmente proprio nel mancato accantonamento delle risorse necessarie a far fronte all’obbligo di versamento, con esclusione della scriminante della forza maggiore prevista dall’art. 45 c.p.

Altrettanto costante sembra, all’esame della giurisprudenza, l’affermazione di sostanziale irrilevanza della scelta del datore di lavoro di privilegiare il pagamento degli stipendi rispetto al versamento delle ritenute, ciò al di la della considerazione per la quale le due azioni sono in defettibilmente legate tra loro, non potendovi essere un versamento di trattenute se non a fronte del pagamento degli stipendi.

E’ evidente con un semplice esame sommario della giurisprudenza, come l’intero impianto normativo privilegi la regolarità della posizione contributiva del lavoratore, riconoscendo la posizione di quest’ultimo quasi come vittima incolpevole, rispetto agli obblighi contrattuali che legano datore di lavoro e lavoratori nel sinallagma proprio dei contratti di lavoro.

Proprio la necessaria contestualità tra il pagamento degli stipendi e l’accantonamento delle trattenute non può secondo Cass. III 18.3.2015 n.11353, richiamata dalla pronuncia in commento, costituire giustificazione per la scelta del datore di lavoro, anche in base al principio generale della irrinunciabilità della posizione assicurativa e previdenziale ed al possibile danno recato alle casse pubbliche in ragione dell’accesso da parte dei lavoratori non coperti alla c.d. contribuzione figurativa, notoriamente a carico della collettività e della considerazione che è assistita da norma penale la sola omissione contributiva e non il mancato pagamento degli stipendi.

Premesso quanto sopra e avuto riguardo ai tentativi di riforma fin qui portati avanti ciò che rimane a fronte dei frequenti contrasti giurisprudenziali è una disciplina forse largamente inadeguata a fronteggiare il persistente stato di crisi economica in cui se la risposta penale è considerata troppo onerosa tuttavia la soluzione non passa certamente dalla depenalizzazione.

Avv. Silvia Assennato

Foro di Roma

 

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