Personalizzazione del danno non patrimoniale e art. 2059 c.c.

Personalizzazione del danno non patrimoniale e indici specifici allegati dal danneggiato.

Il problema del risarcimento globale del danno non patrimoniale alla persona è “un atto di giustizia” che deve tutelare il soggetto non solo dalle compromissioni subite all’integrità psicofisica, ma anche dagli sconvolgimenti dell’equilibrio psicologico e della vita di relazione.

E’ pacifico (già dalla decisione Cass. Civ. 13547/2009) che i danni da pregiudizio “esistenziale” debbano essere risarciti in quanto danni non patrimoniali, ex art. 2059 c.c..

Il lavoro giurisprudenziale è arrivato a stabilire che per ottenere il completo risarcimento predicato dalla norma summenzionata è necessario tenere in considerazione il pregiudizio areddituale nella sua globalità.

Altrettanto pacifico, ormai, che la compromissione della sfera non patrimoniale del soggetto leso, possa manifestarsi attraverso una modifica della personalità tanto negativa da sconvolgere l’esistenza dell’individuo danneggiato, le abitudini di vita, le relazioni interpersonali familiari e quelle esogene, senza la presenza di patologie, ma una modifica che rappresenti un cambiamento tale da condizionare lo scorrere naturale della vita.

Difatti, è proprio questo, il cuore, la sintesi, della “personalizzazione” del danno non patrimoniale che può applicare il Tribunale in presenza di allegati sconvolgimenti, differenti da quelli normalmente correlati alla lesione subita.

Anche il grado di sofferenza patito dal soggetto, oggi scorporato nella liquidazione tabellare milanese, deve essere allegato e provato, in quanto non viene riconosciuto automaticamente.

Risarcire globalmente il danno non patrimoniale, secondo la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., significa considerare il grado di sofferenza che il soggetto ha patito, soprattutto quando degenera nel danno biologico.

Del resto, che il danno morale sia diverso dal danno biologico, già veniva predicato dal DPR 37/2009.

Si possono quindi profilare nell’alveo del danno non patrimoniale, l’aspetto psichico o biologico di natura psichica, esistenziale e morale.

La prima categoria riguarda quei casi in cui “il soggetto danneggiato ha subito un trauma di tale rilevanza da avere avuto necessità di una valutazione diagnostica, insomma un soggetto che ha patito un pregiudizio tanto grave da avere un’appartenenza nosologica precisa in seguito ad una diagnosi clinica.”

La valutazione del danno psichico o danno biologico di natura psichica è complessa perché non si manifesta in modo tangibile, e, comunque, deve essere tale da impedire al soggetto di attendere alle proprie normali attività quotidiane.

La difficoltà che riguarda la valutazione del danno psichico ai fini della risarcibilità è legata al fatto che quest’ultimo non si manifesta esteriormente.

Il pregiudizio esistenziale, invece, deriva dalla lesione di diritti costituzionalmente garantiti e altera in senso peggiorativo il modo di essere di una persona,  il suo stile di vita relazionale e il modo di vivere gli affetti, condizionando in modo fortemente incidente la qualità della vita, la progettualità e le aspettative.

Il pregiudizio morale, invece, riguarda un turbamento psichico transeunte, destinato a finire e determinato dall’illecito.

Per la valutazione di tutti gli aspetti del danno non patrimoniale è fondamentale la valutazione del CTU, ma anche le domande specificatamente formulate e allegate dalla parte che ne invoca il ristoro, ciò, in particolar modo, quando viene invocata la personalizzazione del danno.

Il danno psichico è quasi sempre una componente del cosiddetto “danno biologico” e, in base al nostro ordinamento giuridico, può essere risarcito su richiesta del danneggiato, seppure a determinate condizioni.

L’accoglimento della domanda di danno alla salute psichica è visto dalla Giurisprudenza con circospezione, tra alti e bassi delle decisioni sul punto.

Si pensi, difatti, alle “torture” cui è stata sottoposta la voce di danno esistenziale nell’ultimo decennio, che partiva come autonoma voce di danno, ed oggi è inglobato nella “lesione dell’integrità psicofisica”..

La parte, quindi, deve  descrivere in maniera trasparente e comprensibile al Giudice il grado e l’entità di compromissione che quel particolare trauma le ha cagionato, il tutto poi verrà accertato dalla CTU.

I tentennamenti della giurisprudenza, come facilmente intuibile, sono dovuti alla necessità di arginare richieste risarcitorie pretestuose, ovverosia i cosiddetti “danni bagatellari” definitivamente stroncati dalle SS.UU. 26972/2008.

Come tutti ricorderanno, di tale fondamentale e cruciale decisione, per diverso tempo è stato detto che seguendone il ragionamento si faceva “uscire il danno morale dalla porta per farlo rientrare dalla finestra.”

Per svariati anni è stato proprio così, sino agli odierni approdi.

Il problema del risarcimento globale del danno non patrimoniale alla persona è “un atto di giustizia” che deve tutelare il soggetto non solo dalle compromissioni subite all’integrità psicofisica, ma anche dagli sconvolgimenti dell’equilibrio psicologico e della vita di relazione.

Sul punto, la giurisprudenza si è affannata (e continua a farlo), nel confrontarsi con l’evoluzione della cultura sociale riguardo la sempre crescente sensibilità che la società mostra rispetto alla tematica del risarcimento del danno, ed è appunto questa la ragione dell’introduzione del concetto di personalizzazione del danno.

Oggi, pacifico il fatto che il danno è risarcibile anche se il fatto non costituisce reato, e qui è d’obbligo menzionare l’aspra battaglia giurisprudenziale e normativa sui concetti di “negligenza” e “imperizia” elaborati sulla scia della responsabilità medica, l’assetto risarcitorio prevede il ristoro quando l’evento ha inciso sull’intangibilità degli affetti, la famiglia e sulla libera esplicazione della libertà della persona umana.

Infatti, si pensi al danno alla sfera sessuale, al danno estetico, alla vita di relazione, proprio del soggetto, ma anche riflesso ai familiari.

Il danno psicologico, è un danno biologico.

Il danno biologico è un danno primario, rappresenta il primo effetto pregiudizievole del fatto illecito, ergo: ogni danno, fisico o psichico, con rilievo giuridico costituisce un danno biologico, in assenza di lesioni fisiche o psichiche alla persona non ci sarà danno biologico.

“Il danno psicologico rappresenta un’alterazione dell’integrità psichica e dell’equilibrio di personalità provocata da un evento traumatico di natura dolosa o colposa, limitando fortemente l’esplicazione di alcuni aspetti della personalità nel regolare svolgimento della vita quotidiana. “

Avv. Emanuela Foligno

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