Risarcibile il danno cagionato a una ragazza che aveva riportato un’infezione del padiglione auricolare dopo l’impianto di un piercing all’orecchio destro

Era accusata di negligenza, imperizia ed imprudenza consistite nel non aver rispettato le norme d’igiene e di disinfezione, nel posizionare un piercing all’orecchio destro di una ragazza, cagionandole una “malattia della durata superiore ai gg. 40 (infezione del padiglione auricolare destro da impianto di orecchino) con residuato all’orecchio danno biologico di tipo estetico di natura non penale”.

L’imputata veniva condannata in sede di merito, ai sensi dell’art. 590 del codice penale, alla pena di 500 euro di multa, nonché al risarcimento a favore della parte offesa, costituitasi parte civile, da liquidarsi in separato giudizio.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte la ricorrente eccepiva che il Giudice d’appello avesse erroneamente affermato che la condotta a lei addebitata costituiva l’unico possibile fattore scatenante della malattia, omettendo però di confrontarsi con l’elemento probatorio costituito dalle dichiarazioni testimoniali rese dal consulente tecnico del P.M. il quale non poteva escludere che una cattiva igiene personale nei giorni successivi alla applicazione del piercing potesse avere causato l’infezione, confermando quindi che era possibile tracciare un percorso causale alternativo per l’insorgere dell’infezione stessa.

Sosteneva, quindi, la sussistenza di un plausibile e ragionevole dubbio che non poteva che comportare la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa.

Gli Ermellini, con la sentenza n. 32870/2020 hanno ritenuto il ricorso manifestamente infondato.

Nel dettaglio, il giudicante d’appello aveva appurato che “l’imputata non aveva fatto ricorso a disinfettanti” mentre “le testimoni addotte dalla difesa nemmeno hanno allegato circostanze direttamente in contrasto, posto che non avevano assistito all’episodio specifico”; queste ultime si erano limitate a riferire “di prassi generali senza poter confermare lo svolgimento concreto dell’operazione nel caso specifico”. Il tutto a fronte della regola comune secondo cui, “laddove si produce una ferita, devono assumersi quelle cautele che sono necessarie ed opportune per evitare la contaminazione da agenti patogeni”  ovvero “disinfettazione: a) delle componenti umane che direttamente o indirettamente interagiscono; b) degli strumenti, anche quelli che vengono a contatto soltanto mediato con l’area somatica attinta dall’operazione”.

Inoltre, la sequenza ricostruita in sede di merito, seppure per via testimoniale, attestava idoneamente che l’infezione si era manifestata appena 1-2 giorni dopo l’operazione.

In particolare la madre della giovane aveva ricordato che il secondo giorno dopo l’operazione, l’orecchio della ragazza era divenuto rosso e nelle ore successive l’infiammazione era peggiorata. tanto da indurla a portare la figlia in Pronto soccorso, dove la minore era stata visitata e le era stato estratto l’orecchino con una piccola incisione. Alla ragazza stato prescritto un antibiotico da assumere per bocca e la testimone aveva dichiarato di aver controllato che la figlia seguisse la cura”.

Il Giudice a quo aveva ritenuto credibile il racconto offerto sui tempi di manifestazione della infezione desumendo, ragionevolmente, che l’insorgenza della patologia fosse da collocarsi in tale periodo; di contro appariva del tutto generica l’affermazione del C.T. della difesa secondo cui la cattiva manutenzione igienica della ferita, da parte della vittima, dovesse ritenersi quale causa più probabile della infezione.

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