Polmonite bilaterale alveolare batterica non tempestivamente diagnosticata al detenuto (Cassazione penale, sez. IV, dep. 03/10/2022, n.37193).
Polmonite bilaterale alveolare batterica e omessa tempestiva diagnosi.
La Corte d’appello di Roma, in riforma della pronunzia assolutoria emessa dal GIP in data 4 maggio 2016, ha condannato il Medico per omicidio colposo.
Al Medico di reparto in servizio presso la Casa Circondariale di Rebibbia, si addebita di avere cagionato il decesso del detenuto per non avere espletato nei termini dovuti il controllo sanitario di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 39, comma 2 (Ordinamento Penitenziario) ed avere così omesso di diagnosticare a carico del predetto detenuto l’insorgere di una polmonite bilaterale alveolare batterica in fase di epatizzazione rossa.
Secondo l’accusa, il Medico imputato avrebbe potuto rilevare i sintomi della polmonite bilaterale alveolare se avesse sottoposto il detenuto a visita medica.
All’esito del giudizio di primo grado, il Medico, e la Dottoressa coimputata, era stato assolto dal reato ascrittogli, nella pressoché totale carenza di elementi di fonte testimoniale che riferissero di sintomi manifestatisi sul detenuto.
In sede di Consulenza tecnica, era emerso che il detenuto era deceduto in modo pressoché improvviso, a causa di un’aritmia rapidamente fatale legata alla presenza di una sostituzione adiposa al ventricolo destro. Nella motivazione della sentenza di primo grado, il Giudice escludeva che il controllo medico di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 39, comma 2 dovesse essere effettuato attraverso una vera e propria visita medica.
A seguito dell’impugnazione della sentenza di primo grado da parte del Pubblico Ministero e della parte civile, la Corte d’Appello ha rinnovato l’istruzione dibattimentale, limitatamente all’espletamento di una perizia medico – legale.
E’ emerso che il decesso del detenuto “non era ascrivibile a processi patologici a carico del miocardio, ma solo a insufficienza respiratoria secondaria a processi infettivi polmonari: ciò che ha condotto ad escludere la verificazione della displasia aritmogena del ventricolo destro (che, secondo quanto ritenuto in primo grado, sarebbe stata responsabile dell’improvviso decesso) e a concludere per l’insorgere di una polmonite bilaterale, circa 24 – 48 ore prima del decesso: ossia in un arco temporale in cui si sarebbe collocato il controllo sanitario affidato al Medico imputato.
Ergo, il Medico, ove avesse rilevato i sintomi della polmonite bilaterale in occasione del controllo (anche mediante una semplice auscultazione del torace), avrebbe potuto decidere tempestivamente per una terapia antibiotica che avrebbe salvato la vita al detenuto.
Il Medico ricorre in Cassazione.
Secondo il ricorrente, la motivazione resa dalla Corte d’Appello è apparente perché non prende in considerazione gli elementi di prova segnalati dalla difesa ed omette perciò di argomentare sul punto. Se davvero il quadro anatomo-patologico fosse stato quello di una polmonite bilaterale che interessava i 5 lobi polmonari, sarebbe stato impossibile che il detenuto non presentasse alcun tipo di sintomo, al punto che non solo il Medico, ma anche lo stesso detenuto non avrebbe potuto ignorare i sintomi propri di quella condizione.
Ed ancora, quand’anche l’imputato avesse espletato gli accertamenti che si ritengono omessi, ciò non avrebbe avuto un risultato salvifico: gli stessi periti riconoscono che l’efficacia salvifica dei trattamenti dell’A.R.D.S. che si assumono omessi è riconosciuta solo su basi percentualistiche poco rassicuranti; né spiegano in che modo l’Imputato si sarebbe potuto accorgere della presenza di una qualunque forma di malessere, o di un qualche elemento suggestivo di una polmonite, tale da comportare il suo potere/dovere di attivarsi nel senso indicato.
Il ricorso è fondato.
La distribuzione dei controlli da effettuarsi sul detenuto in isolamento ha, quale unico parametro testuale, l’indicazione di un “controllo costante” (L. n. 354 del 1975, art. 39, comma 2 cit.). Tuttavia, secondo la giurisprudenza “non può ignorarsi la previsione di un obbligo di assistenza sanitaria mediante riscontri con cadenza quantomeno mensile, se non settimanale, indipendentemente dalla richiesta degli interessati, da attuare in relazione alle peculiarità del caso concreto”.
Nei reati colposi, qualora si assuma violata una regola cautelare cosiddetta “elastica”, cioè dal contenuto comportamentale non rigidamente definito, è necessario, ai fini dell’accertamento della condotta impeditiva esigibile da parte del garante, procedere ad una valutazione ex ante che tenga conto delle circostanze del caso concreto.
Al riguardo, non può validamente inferirsi la violazione della regola cautelare che si assume violata per il fatto che il Medico imputato effettuava il controllo del detenuto in forma di colloquio, due giorni prima che ne venisse constatato il decesso.
Nessuna delle fonti di prova diretta ha riferito elementi di malessere o di disagio palesato dal detenuto: l’unico dato realmente dissonante al riguardo è fornito dalla madre dello stesso che ha riferito che il figlio “scottava” (ritenendo quindi che potesse avere la febbre), ma ciò nella giornata del 31 maggio 2013, ossia il giorno successivo alla visita dell’imputato.
In sintesi, la ricostruzione della serie causale intercorrente tra la condotta omissiva censurata al Medico e il decesso del detenuto, presenta evidenti criticità.
Oltre a ciò viene constatato che il reato ascritto al ricorrente, avuto riguardo al tempus commissi delicti e al fatto che i periodi di sospensione di cui all’art. 159 c.p. non risultano decisivi, è estinto per maturata prescrizione.
Essendo il reato prescritto, residua unicamente la valutazione dell’accaduto sotto il profilo civilistico.
Conclusivamente, difettano le condizioni per confermare la sentenza impugnata sulla base delle regole di giudizio proprie del giudizio di legittimità in sede penale, difettano, inoltre, gli elementi fondanti il giudizio probabilistico che, sul piano della ricostruzione causale, è affidato al giudice dell’impugnazione una volta constatata l’estinzione del reato per maturata prescrizione (e statuito l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ai fini penali).
La Corte rinvia al Giudice civile competente per valore in grado d’appello.
Avv. Emanuela Foligno
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