Il titolo dell’articolo di oggi rappresenta un’affermazione triste e pesante per chi scrive in quanto, partecipando a molti contraddittori in tutto il territorio nazionale, “leggo e sento” spesso affermazioni senza senso e senza supporto motivazionale che fanno accapponare la pelle e il …cuore!

Malgrado i “quintali” di giurisprudenza prodotta dalle nostre Corti, ancora molti (anzi, moltissimi!) CTU, non riescono a comprendere la differenza tra errore e complicanza e, di conseguenza, tra evento prevedibile ed evitabile ed evento imprevedibile e quindi inevitabile. Domina invece il binomio “prevedibile ma inevitabile” che ha, a ben pensarci, dell’irrazionale! Ciò, in quanto non è mai motivato e quei pochi CTU che si sforzano a farlo, lo fanno talmente male, da far comprendere in maniera evidente che il concetto non è loro chiaro.

Se da un lato i concetti di prevedibilità e imprevedibilità (sempre giudicando ex ante e tenendo conto che un medico specialista che cura un paziente deve avere delle ottime conoscenze scientifiche) sono abbastanza semplici da comprendere e, quindi, da spiegare, quelli di prevedibilità ed evitabilità non sembrano esserlo altrettanto con il risultato che il ctu, quando scrive di questi concetti, non sa quasi mai motivarli, come se non conoscesse affatto il significato dei detti termini.

Per un attimo vorrei tornare al ruolo del medico legale (aggiungerei colto) nel collegio peritale.

Ho sempre predicato che uno dei compiti fondamentali di un consulente o di un perito sia quello di conoscere le c.d. “regole del gioco” medico legali e giuridiche.

Evidentemente si parla dei concetti:

  • Dell’onere della prova;

  • Della differenza tra errore e complicanza;

  • Del nesso causale e della sua qualificazione in termini di efficienza civile e penale.

Senza tali basi (e aggiungerei senza l’attitudine al ragionamento critico), non si può pretendere di portare a compimento un incarico peritale adeguato alle esigenze di legge (o comunque del giudice che deve fare una sentenza motivata e possibilmente inappellabile).

Adesso tenterei di dare una linea guida di ragionamento che possa condurre il CTU/perito a poter meglio spiegare la differenza tra complicanza e errore e, di conseguenza, tra evento prevedibile e evitabile/inevitabile.

Partiamo dal binomio prevedibile ed evitabile.

Sono due termini di significato differente anche in senso cronologico. La prevedibilità di un evento viene prima dell’evitabilità di esso, ossia, se un medico conosce le complicanze di un intervento, deve mettere in atto tutte quelle strategie per evitarlo. Dunque il dovere di evitare l’evento dannoso può sorgere solo nei casi in cui l’agente avrebbe prima potuto, e dovuto, conoscere la possibile verificazione dello stesso.

Quindi, passando al concreto, quando nel “mitico” foglio di consenso informato si elencano tutte le possibili complicanze di un intervento, ciò rende certa la conoscenza da parte del medico operatore delle possibili evoluzioni del suo operare, per cui, se si assiste a una “complicanza” certamente prevedibile, come si fa a definirla evitabile o inevitabile?

Prima di rispondere a questo quesito si deve ricordare quanto espresso sopra, ossia che il CTU deve conoscere il concetto dell’onere della prova nella responsabilità contrattuale e che la prova in tale rapporto è a carico dei convenuti (medico e struttura…fino a quando la legge Gelli non verrà definitivamente approvata).

Che significa avere il carico di provare che quanto successo (complicanza) non è in nesso causale con l’operato del medico o della struttura?

Significa provare con certezza documentale o scientifica che quanto accaduto dipende da una causa esterna da sola sufficiente a interrompere il nesso causale.

Il concetto del “può succedere”, che mi risuona nelle orecchie come una campana stonata, deve essere affrontato con razionalità e logica causale e, dunque, con il concetto “dell’evidenza”. Quando manca questa evidenza (che deve provare il CTU nel suo ruolo di terzo super partes) i convenuti soccombono.

Quindi quando si è a conoscenza (il medico) che da un atto può derivare una conseguenza dannosa per il paziente, la parte accusata, (e nel suo specifico ruolo, il ctu) che cosa deve provare? Proviamo ad elencare gli step logici che devono portare un CTU a definire un evento come complicanza o errore. Il ctu deve:

  1. Accertare che l’evento avverso che ha prodotto un danno sia in nesso causale con l’intervento chirurgico (e non) o comunque con l’operato del medico: parlando di onere della prova questa è una di quelle prove che deve fornire il danneggiato. Tale prova è valida anche in astratto, ossia che (secondo il concetto della possibilità scientifica) il danno lamentato possa derivare dall’atto medico;

  2. Valutare dapprima la prevedibilità dell’evento avverso a seguito di quel tipo di cura (chirurgica o non) e delle precauzioni (regole cautelari) prese dal medico (o dall’equipe) per evitarlo. Se la valutazione è negativa, ossia l’evento accaduto è imprevedibile, la fase di studio finisce qui in quanto nulla può essere imputato ai medici;

  3. Valutare tutte le possibili cause che possono produrre l’evento avverso e stabilire con prove concrete (documentali o scientifiche basate non sulle delle mere ipotesi) quali di queste cause si è verificata affinchè le si possa collegare all’atto medico per giudicarlo adeguato o inadeguato (quindi colposo). Solo quest’ultimo step può supportare il ctu nella qualificazione dell’inevitabilità di un evento avverso.

  4. Valutare la gestione dell’evento avverso da parte del medico/equipe e se, dunque, questo poteva essere risolto senza arrecare danni al paziente o comunque arrecarne il meno possibile.

  5. Valutare esclusivamente le conseguenze legate all’evento avverso evitabile per trarre le conseguenze valutative in termini di danno biologico (in caso di sopravvivenza del paziente) o di perdita di chance di sopravvivenza o di guarigione (in caso, invece, di decesso del paziente) valutando se quest’ultima, in termini di probabilità logiche, sia stata efficiente ad annullare la sola possibilità di vivere più a lungo o di guarire ovvero sia stata efficiente a causare il mancato raggiungimento del risultato atteso (concetto del più probabile che non in sede civile e dell’oltre ogni ragionevole dubbio in penale).

Evidentemente il concetto dell’inevitabilità di un evento si definisce dalla soluzione dei succitati cinque punti. Un’operazione logica diversa da quella surriportata difficilmente potrà dirimere il dubbio tra complicanza ed errore e quindi si esortano tutti i medici forensi a evitare di parlare e di scrivere per “sentito dire” o per formule giuridiche stilizzate, ma ad arrivare a una conclusione con la razionalità che è tipica della medicina legale che, secondo lo scrivente, è l’indispensabile ed insostituibile “compagna” del giudicante.

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

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