Un calvario “assistenziale” per un paziente che affetto da K della vescica con prognosi verosimilmente fausta, viene ucciso da una infezione. Una lunga sofferenza del paziente e della famiglia che lo ha assistito giorno dopo giorno condividendo sofferenza e speranza di guarigione.

Vi raccontiamo i fatti così come si leggono anche dalla documentazione che ci hanno fornito i familiari.

 Il Sig. M. V. presentava un’anamnesi patologica remota caratterizzata da diabete mellito tipo II, BPCO in forte fumatore e colelitiasi.

Nel novembre del 2006 gli era veniva diagnosticata una voluminosa neoplasia vescicale (diametro di circa 45 mm) interessante l’emitrigono destro e la parete laterale destra determinante modica idroureteronefrosi.

In data 18.01.2007 veniva ricoverato presso l’U.O. di Urologia e veniva sottoposto a TURV bioptica citoriduttiva (resezione endoscopica della neoplasia vescicale).

Gli esami ematochimici eseguiti lo stesso giorno documentavano: azotemia: 50; Na2+: 138; K+: 3,8; Cl: 102; glicemia: 72; Creatinina: 1,18; GB 9,3; neutrofili 56,3; linfociti 32,1; Hb 13; PSA 0,99; esame chimico-fisico delle urine sostanzialmente negativo. L’ECG era normale e l’RX del torace sostanzialmente negativa.

La visita anestesiologica preoperatoria documentava uno stato di salute generale soddisfacente.

In data 19.01.2007 veniva effettuata una TC addome con mezzo di contrasto che risultava negativa per secondarismi; metteva in evidenza la colelitiasi (già nota) e la presenza di un frammento litiasico nel tratto coledocico intrapancreatico. Mostrava inoltre l’idroureteronefrosi destra con rene pressoché escluso da un punto di vista funzionale.

In data 25.01.2007 veniva effettuata anche una scintigrafia ossea, anche questa risultata negativa per secondarismi.

 In considerazione dell’esito della TC, in data 31.01.2007 veniva sottoposto ad una Colangio-RMN che confermava il quadro di colelitiasi e di litiasi del coledoco. Il pancreas non presentava segni di sofferenza e non erano segnalate linfadenopatie.

Il decorso postoperatorio risultava regolare e il paziente, dopo essere stato sottoposto a terapia antibiotica perioperatoria a base di cefalosporine, passava ad una terapia orale con fluorchinolonico che doveva continuare a domicilio per ulteriori 3 giorni.

L’esame istologico della TURV documentava una neoplasia uroteliale di alto grado, infiltrante la tonaca muscolare della vescica.

Dato l’esito della TC addome, in data 12.02.2007 veniva ricoverato presso l’U.O. di Chirurgia e veniva sottoposto a CPRE e sfinterotomia endoscopica con buon risultato, previa profilassi antibiotica con cefalosporina e con decorso postoperatorio senza complicazioni.

L’amilasemia dosata il 13.02.2007 era pari a 1234, la lipasemia era di 347, le GGT erano di 71, gli elettroliti normali, l’azotemia di 54, la creatininemia pari a 1,32 e i GB 13,3 con neutrofilia 81,4.

Alla dimissione, avvenuta in data 15.02.2007 l’amilasemia era 237, la lipasemia era 24, le GGT erano 53 e i GB 9,1 senza neutrofilia; veniva consigliata una dieta leggera e l’assunzione di enzimi pancreatici.

In data 23.02.2007 il Sig. M. veniva nuovamente ricoverato nel reparto di Urologia per affrontare l’intervento demolitivo di cistectomia come è consuetudine proporre nel tumore infiltrante la muscolare dell’organo.

Gli esami ematochimici preoperatori rilevavano: elettroliti normali; creatinina: 1,47; glicemia: 85; azotemia: 59; GB: 11,3; Hb: 13,9. L’analisi chimico-fisica delle urine rilevava rari GB e l’assenza di batteri.

La visita cardiologica e quella pneumologica preoperatorie documentavano l’assenza di peggioramento delle condizioni funzionali. La visita anestesiologica prendeva atto della documentazione ed evidenziava un peso corporeo di 62 kg e una saturazione di O2 del 99%.

Il paziente firmava il consenso informato all’intervento chirurgico di cistectomia radicale (documento non datato).

In data 24.02.2009 il paziente iniziava terapia antibiotica con fluorchinolonico (Ciproxin 500 mg 1 cp x 2) e si sottoponeva alla preparazione intestinale con Isocolan 2 bustine.

In data 27.02.2007 viene eseguita profilassi antibiotica, sembrerebbe con Glazidim, e profilassi antitrombotica con Clexane 4000UI 1 fl sc; veniva quindi condotto in sala operatoria dove si espletò l’intervento di cistoprostatovesciculectomia radicale, linfadenectomia pelvica bilaterale, confezionamento di neovescica ileale orto topica e di appendicectomia.

 Nei giorni successivi venivano costantemente monitorati i parametri ematici:

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In II, III e IV giornata il paziente presentava iperpiressia e veniva somministrato Glazidim per 6 giorni; in V e VI giornata era afebbrile mentre in VII e VIII giornata presentava un’ulteriore ricomparsa della febbre. Non venivano eseguite nè emocoltura, né urinocoltura, né un RX torace e non veniva nemmeno sostituito l’antibioticoterapia in corso.

In IX giornata, il paziente era di nuovo febbrile per cui veniva effettuato il lavaggio dei tutori ureterali; non vengono riportate manovre correttive e nulla si sa sulla loro pervietà e quindi sull’assenza di potenziale pionefrosi. Venivano anche rimossi i punti di sutura della ferita chirurgica.

Lo stato settico non sembrerebbe essere legato ad un’infezione del sito chirurgico; tale affermazione è supportata dal fatto che non viene previsto alcun ciclo di medicazioni ambulatoriali al momento della dimissione.

Sempre in IX giornata, finalmente, veniva effettuata un’emocoltura per soli aerobi e veniva intrapresa terapia empirica con Piperital 1 fl x 2 e Gentalyn 1 fl x 2; il primo veniva sospeso dopo 5 giorni mentre il secondo veniva infuso solo per 3 giorni.

In XI giornata  (10 marzo) veniva aggiunto alla terapia antibiotica già in atto Ciproxin 250 mg 1 cp x 2, come consigliato dal Nefrologo nella stessa data.

È Good Clinical Practice che se un paziente presenta febbre durante una terapia profilattica antibiotica, al prossimo evento accertato si esegua l’emocoltura per aerobi ed anaerobi ed urinocoltura (poichè evidentemente il germe è parzialmente resistente e dunque l’antibiotico non è completamente inibente à prelevando i campioni in quel momento e mettendoli subito in coltura si può isolare il germe) ed al secondo evento (previa seconda emocoltura ed urinocoltura ed in aggiunta un RX torace) si sostituisce l’antibiotico.

Nel caso specifico il paziente aveva febbre in II giornata (non eseguiva alcun accertamento colturale) che si ripresentava in III e IV giornata (senza che i colleghi procedessero ad effettuare altre due emocolture per aerobi ed anaerobi + urinocolture ed RX torace: se così avessero operato è verosimile che con 3 emocolture + 3 urinocolture il germe poteva essere isolato; empiricamente, comunque, in IV giornata (al terzo picco) doveva essere cambiato l’antibiotico.

Così non avveniva e il Glazidim inutilmente continuava ad essere somministrato per altri quattro giorni (V, VI, VII e VIII giorno), malgrado presentasse febbre in VII e VIII giornata, ma nonostante questo non eseguiva alcuna emocoltura, urinocoltura o RX torace, né veniva sostituito antibiotico.

È inaccettabile che una terapia antibiotica profilattica sia stata mantenuta malgrado per ben cinque volte il paziente, sebbene incostantemente, presentasse picchi febbrili.

È importante sottolineare “incostantemente” (apiretico in V e VI giornata) per un duplice motivo:

  • l’incostante apireticità evidenzia che la cefalosporina funzionava sulla carica batterica, cioè come “batteriostatico”, ma non come “battericida”;
  • la neovescica presenta una carica batterica che ha una variabilità continua in funzione dello stato di idratazione e lo stato nutrizionale; è ovvio che non è possibile eradicare completamente le colonie batteriche della neovescica ma è assolutamente necessario mantenere costantemente bassa la carica batterica e asintomatico il paziente per evitare sepsi e infezioni retrograde.

Lo specialista ipotizzava un’insufficienza renale cronica riacutizzata e una febbre da probabile infezione delle vie urinarie.

Non vi è traccia scritta di rivalutazioni nefrologiche nei giorni successivi e nella pre-dimissione. Veniva eseguito un RX del torace che risultava negativa.

Dell’unica emocoltura effettuata non vi è traccia dei risultati, così come dei risultati dell’urinocoltura, né di uno studio strumentale dell’alto apparato urinario.

Rimangono alcuni punti bui in quanto non vi è un diario clinico giornaliero, né un diario infermieristico.

Poco chiaro risulta, fra l’altro, quando al paziente venne rimosso il drenaggio/i drenaggi; sembrerebbe in VIII giornata postoperatoria.

Vengono riportate quantità drenate dell’ordine di 50-100-200 ml.

Non si evince se sia stata eseguita ad esempio una creatininemia sul liquido drenato per verificarne la vera natura, visto che comunque il peggioramento del quadro clinico è avvenuto in VII-VIII giornata.

La diuresi era conservata e quella dal catetere vescicale si attestava sui 1000 ml. La diuresi veniva segnalata fino all’11.03.2007.

E’ consuetudine eseguire 2-3 lavaggi della neovescica al giorno per verificare la pervietà del catetere e l’assenza di sovradistensione che potrebbe determinare filtrazione urinaria in cavità addominale, generare infezione delle vie urinarie potenzialmente anche dell’alto apparato e favorire l’insorgenza di squilibri elettrolitici (acidosi ipercloremica trattandosi di una neovescica ileale).

L’esame istologico definitivo effettuato sul pezzo operatorio metteva in evidenza una neoplasia uroteliale di grado G3 con aspetti squamoidi, macroscopicamente infiltrante: la parete anteriore destra fino alla cupola, diffusamente la parete del viscere a tutto spessore fino all’adipe perivescicale; pT3 pN0 con presenza di malattia neoplastica a carico del frammento ureterale destro inviato durante l’intervento e non evidenziata all’esame estemporaneo intraoperatorio.

 La prognosi riportata in Letteratura varia da circa il 30% a circa il 55% a 5 anni con prognosi peggiore nei casi di concomitante coinvolgimento linfonodale.

I linfonodi asportati risultavano 10 in toto (6 a dx e 4 a sn).

Il paziente veniva dimesso in data 14.03.2007, cioè in XV giornata postoperatoria, apiretico dal 12 marzo, con GB ancora aumentati, creatininemia non rientrata a valori basali e con glicemia notevolmente squilibrata (soprattutto in data 13 marzo).

Nella lettera di dimissione non veniva citato il decorso settico, lo scompenso glucometabolico e l’insufficienza renale con squilibri idroelettrolitici postoperatori; non venivano previsti esami di controllo a breve distanza e veniva indicata la prosecuzione del Ciproxin 250 mg 1 cp x 2 die per ulteriori 10 giorni e veniva prevista la rimozione del catetere vescicale in ambiente ambulatoriale per il 21.03.2007.

La scelta del Ciproxin a metà dosaggio (cioè nefrologico) per continuare la terapia antibiotica (terapia e non profilassi visto che il paziente viene dimesso dopo solo 2 giorni di apireticità e senza alcuna evidenza di aver isolato il germe e controllato l’infezione con un antibiotico mirato) è quanto meno discutibile.

Se per controllare l’infezione urinaria era stata necessaria un’associazione di antibiotici, come si poteva pensare che una sola molecola, per di più data a dosaggio renale, potesse controllare ed abbattere la carica batterica della neovescica a valori clinicamente accettabili? Negli ultimi giorni di ricovero il paziente aveva presentato valori di creatinina alti (circa 2 mg/dl) e dunque parzialmente efficace sarebbe stata la dose di farmaco che si sarebbe concentrata in vescica, avendo il paziente un ridotto filtraggio glomerulare (clearence creatinina <30-40ng/ml). In questo caso si sarebbe dovuta controllare la carica batterica o agendo combinatamente con una terapia fatta da Ciproxin e Normix (antibiotico disinfettante dell’intestino non assorbibile) o utilizzando antibiotici con scarsa tossicità renale ed importante concentrazione nel filtraggio post-renale (Carbapenemici). Sarebbe stato necessario effettuare periodici controlli colturali urinari e della batteriuria e mantenere la carica sotto controllo.

In data 26.03.2007 il Sig. M. V. veniva nuovamente ricoverato presso l’U.O. di  Urologia per astenia profusa. In un controllo ematico precedente al ricovero e disponibile in cartella veniva evidenziato: WBC: 10090/ul; Neutrofili: 53%; Hb: 10,9 g/dl; VES: 105; Leucocituria: 500 /ul (v.n. 0-18); Batteriuria: 450/ul (v.n. 0-8000).

Tale quadro conforta l’ipotesi che lo stato settico era temporaneamente controllato da un’allerta infiammatoria dell’organismo che lo conteneva. In data 27.04.2009 venivano effettuati esami del sangue  e delle urine che mostravano: WBC: 13300/ul; Neutrofili: 53%; Hb: 10,9 g/dl; Leucocituria: 1895/ul (v.n. 0-18); Batteriuria: 26984/ul (v.n. 0-8000).

Una visita oncologica documentava condizioni generali scadute, iperazotemia persistente e fegato palpabile a due dita dall’arcata costale. Veniva prevista una TC tb. Veniva eseguita anche una visita diabetologia che mette in evidenza dei profili glicemici non buoni.

Gli esami dimostravano:

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Solo in data 27.03.2007 il paziente presentava una temperatura di 37.8°C. Rimaneva poi sfebbrato senza antibioticoterapia fino al 31 marzo.

Nonostante il profilo ematico, in queste date, non vi è traccia di una quantità urine raccolta (anche se compare un ordine di controllo diuresi), di una urinocoltura effettuata, né di una valutazione nefrologica, né dell’esecuzione di un accertamento strumentale come ad esempio una ecografia renale, né della somministrazione di antibiotici.

In presenza di tale stato infiammatorio ed infettivo, in data 31.03.2007 veniva dimesso in regime di dimissione protetta per essere sottoposto in data 05.04.2007 ad esami ematochimici di controllo e a TC total body.

Il 05.04.2007 effettuava gli esami ematochimici che mostravano: iperazotemia (118), lieve iperpotassiemia (5.6), iposodiemia (135), creatininemia di 1.5, GB pari a 18000. L’esame delle urine era invariato. In quella stessa occasione veniva anche sottoposto a TC total body che mostrava: effetto nefrografico pronto, fase escretoria lievemente ritardata, dilatazione calicopielica ed ureterale bilaterale più marcata a sinistra, neovescica con iniziale replezione solo nelle scansioni tardive. Assenza di linfadenopatie e versamento libero in cavità.

Si configurava pertanto un quadro di insufficienza renale su base subostruttiva, infezione delle vie urinarie e dismetabolismo.

In data 09.05.2007 il paziente effettuava una vista urologica con ecografia dell’apparato urinario che dimostrava una modica dilatazione del rene sinistro già presente prima della cistectomia (ipotonia pieloureterale sn).

Si ricordi che l’idroureteronefrosi prima della cistectomia radicale e la sospetta persistenza di malattia post-chirurgica era a destra; a sinistra poteva comparire una dilatazione non su base ostruttiva, ma secondaria al reflusso neovescico-ureterale nel caso di sovradistensione vescicale che si sarebbe risolta con applicazione del catetere.

Il perdurare dell’insufficienza renale con squilibrio idroelettrolitico anche grave, il lieve ritardo escretorio renale segnalato all’esame TC, l’iniziale replezione (quindi la non sovradistensione) con mdc della neovescica solo tardivamente, la non simmetrica dilatazione delle cavità escretrici, lasciano intendere si tratti più probabilmente di una idronefrosi su base sub-ostruttiva.

L’insufficienza renale post-renale con dilatazione delle cavità escretrici e stato febbrile necessita di un tentativo di stenting ureterale retrogrado (manovra difficile nella neovescica), oppure in caso di suo fallimento del posizionamento di nefrostomia percutanea e secondariamente eventuale stenting anterogrado. Tali manovre consentono anche uno studio delle vie urinarie con mdc e quindi delle anastomosi uretero-neovescicali che potrebbero essere interessate da stenosi.

Dal 14.05.2007 al 14.08.2007 il paziente veniva preso in carico dal reparto di Oncologia per essere sottoposto a chemioterapia adiuvante con carboplatino a basso dosaggio, motivato da prove di funzionalità renale alterate, che il paziente affrontava senza gravi effetti collaterali, fatta eccezione per l’astenia e le condizioni generali discrete-mediocri.

I GB persistevano alterati e più alti del normale fino a luglio 2007 (11000-12000- 15200 circa).

In data 16.07.2007 il paziente ripeteva un esame delle urine che risulta invariato; veniva pertanto prescritto Ciproxin 500 mg 1 cp x 2 per 7 giorni. La settimana successiva comparivano nausea, vomito e dolori addominali, ma gli veniva comunque somministrata la dose di chemioterapico.

In data 25.07.2007 il paziente veniva nuovamente accolto in reparto di Oncologia per sospetta occlusione intestinale. Veniva richiesto un RX dell’addome in bianco urgente che dimostrava la presenza di numerosi e diffusi livelli idroaerei di pertinenza dell’intestino tenue e l’assenza di aria libera in cavità addominale. Veniva quindi idratato e iniziava digiuno terapeutico.

In data 27.07.2007 compariva ematuria.

Il 28.07.2007 compariva iperpiressia (38.5°C) serale, il 30.07.2007 si ripeteva il fatto; malgrado ciò non veniva effettuata alcuna emocoltura, né iniziata terapia antibiotica endovenosa.

In data 31.07.2007 veniva sottoposto ad Ecografia addominale che dimostrava una relativa dilatazione calicopielica bilaterale con accentuazione di calibro nel tratto prossimale degli ureteri e la presenza di anse intestinali distese. Era presente catetere a dimora.

Le analisi mostravano una riduzione dei WBC e delle globulina infiammatorie malgrado lo stato del paziente, ma questo è da mettere in relazione alla chemioterapia citoriduttiva sui WBC.

La TC dell’addome eseguita in data 08.08.2007 confermava la presenza di alcuni livelli idroaerei di pertinenza del tenue, l’assenza di linfadenopatie, il riempimento della neovescica di urina iodata solo nelle fasi tardive dell’esame.

Il 12.08.2007 veniva nuovamente discusso il caso in Oncologia e veniva proposta una valutazione chirurgica per un eventuale intervento esplorativo nel sospetto di una carcinosi intestinale.

Nel diario giornaliero vi è scritto: “contattato il chirurgo di guardia per discutere il caso: non indicata laparoscopia in stato sub-occlusivo. Utile al contrario … chirurgico per il mese di settembre presso gli ambulatori di Chirurgia per valutazione. Consiglia di seguire dieta priva di scorie, Laevolac 2 cucch x 2 al giorno, olio di oliva 1 cucch al giorno. Se lo stato del paziente dovesse diventare acuto valutare intervento chirurgico”.

La diagnosi non è chiara. Si trattava di una carcinosi peritoneale oppure di briglie aderenziali post-chirurgiche? Era un ileo paralitico secondario ad uno stato flogistico infettivo oppure la sub-occlusione intestinale era legata ad una raccolta intraddominale? Era secondaria ad una recidiva pelvica mal visualizzabile alla TC o riconducibile a qualche altra causa?

Visionando le immagini la notevole distensione intestinale avrebbe probabilmente necessitato, visto anche il perdurare del quadro strumentale per altro sintomatico, un intervento chirurgico esplorativo, affinchè si potesse almeno eseguire una diagnosi di certezza e, nel caso risultasse possibile, tentare di porvi rimedio.

Il 16.08.2007 il paziente riferiva stipsi, alvo aperto ai gas, dolori addominali, un episodio di vomito negli ultimi tre giorni verosimilmente causato dall’assunzione di eccessiva quantità di acqua, febbre trattata con beneficio con Claritromicina e Cefalosporina. Viene riportata la negatività di una urinocoltura eseguita il 10.08.2007. L’addome si presentava trattabile, meteorico nei quadranti superiori, scarsamente dolente alla palpazione.

Veniva quindi dimesso con la terapia personale e il Ciproxin 500 mg 1 cp 2 volte al giorno per 7 giorni. Non veniva fatto cenno alla febbre comparsa ad andamento tipicamente settico e non veniva prevista una valutazione presso gli ambulatori di Chirurgia.

In data 03.09.2007 il paziente veniva accolto nuovamente presso il reparto di  Urologia per febbre presente da alcune settimane, astenia profusa con un quadro addominale occlusivo cronico.

L’ecografia renale effettuata in data 04.09.2007 dimostrava un’idronefrosi di grado medio a destra.

In data 13.09.2007 veniva sottoposto a visita psichiatrica che evidenziava la presenza di depressione reattiva alla malattia organica (ciò dimostra la grande sofferenza fisica e psichica del paziente il quale certamente ha avuto coscienza della morte imminente).

Al momento del ricovero iniziava terapia con Avocin e Gentalyn, ma in data 13.07.2007 la consulenza infettivologica, persistendo la febbre, poneva indicazione alla terapia con Merrem e Targosid, previa acquisizione di 3 emocolture al picco febbrile. Iniziava tale terapia in data 16.07.2007.

Dalla cartella non si evince se tali antibiotici fossero associati al Gentalyn, ma di fatto, in una completa confusione e incongruenza fra consulenze e diaria, una consulenza infettivologica nuovamente pone indicazione, sulla base di un emocoltura positiva per Staphylococcus Hominis, al Targosid già in atto (o almeno già consigliato).

La TC encefalo senza mdc del 17.09.2007 non evidenzia lesioni focali, ma sofferenza ischemica cronica e atrofia corticale.

In data 19.09.2007 veniva richiesta una consulenza neurologica per comparsa di confusione mentale e disorientamento spazio/temporale. L’esame obiettivo neurologico era negativo e veniva proposto di effettuare una RMN dell’encefalo.

In data 22.09.2007 la TC dell’addome mostrava la significativa dilatazione pielica ed ureterale bilaterale, la colelitiasi, una modica iperplasia surrenalica sn, numerose anse del tenue a pareti ispessite, distese, in parte affastellate a livello dello scavo pelvico con iperdensità dei tessuti molli a livello sinfisario riferibile a flogosi, presenza di falda fluida periepatica, perisplenica, in corrispondenza della loggia parietocolica dx ed in fossa iliaca dx. Non vi erano tumefazioni linfonodali; si era davanti ad un  quadro di disseminazione settica intraddominale diffusa.

Il 24.09.2007 veniva eseguita una scintigrafia renale sequenziale con dimostrazione di una funzione glomerulare globale e relativa al limite inferiore alla norma e un significativo ritardo nella fase di eliminazione bilateralmente.

La rivalutazione infettivologica del 25.09.2007 sospendeva il Targosid e proponeva di iniziare la Vancomicina e la Gentamicina.

La visita infettivologica del 01.10.2007, vista la persistenza della febbre, sospendeva gli antibiotici in attesa dei referti degli esami strumentali.

Il 04.10.2007 veniva effettuata ulteriore consulenza neurologica che stavolta evidenziava un quadro di idrocefalo tetraventricolare e consiglia la valutazione neurochirurgica.

Il 05.10.2007 veniva effettuata la RMN dell’encefalo che confermava la diagnosi.

In data 06.10.2007 veniva sottoposto a derivazione ventricolo-peritoneale dx. All’esame citologico il liquor risultava acellulato.

Il 07.10.2007 subentrava lo stato di coma e in data 08.10.2007 il sig. M. V. decedeva per shock settico.

Si riteneva procedibile il caso della sig.ra S. L. per i seguenti motivi:

In sintesi:

Intervento con confezionamento di neovescica à infezione della neovescica à batteriura, leucocitura e febbre à estensione dell’infezione agli ureteri con idronefrosi bilaterale (stasi, paralisi infettiva degli ureteri) à infezione per via ematogena e linfatica alla struttura addominale (pelvi) ed intestinale (sub-occlusione intestinale) à sepsi generalizzata à idrocefalo tetraventricolare non dovuto ad ostruzioni (in quanto non dimostrate) né ad infezioni dirette (liquor non diagnostico),  ma ad una verosimile alterazione delle granulazione di Pacchioni che, infiammate, hanno ridotto il riassorbimento del liquor determinando idrocefalo à decesso.

Per tutto quanto precedentemente considerato si può concludere che la storia clinica del sig. M. V. è caratterizzata da un susseguirsi di imprudenti valutazioni e mancate ottemperanze che hanno determinato il decesso del paziente, tali gravi imprudenze divenute ripetitive configurano più volte un grave quadro di negligenza.

In dettaglio:

  • La storia del paziente è da ricondurre ai problemi settici insorti fin dai primi momenti post-chirurgici e non a progressione di malattia neoplastica. Una PET/TC nel ricovero successivo a quello dell’intervento avrebbe permesso di dirimere il dubbio poiché, in primis, con il confronto si escludevano eventuali ripetizioni non presenti all’origine ed, in secondis, la SUV (indice di captazione) avrebbe mostrato il quadro infiammatorio in quanto i suoi valori sono differenziali tra infezione e massa neoplastica. Comunque i dati evidenziabili dalle cartelle e dagli esami eseguiti (ivi compreso l’intervento chirurgico) nulla indicava una diffusione di malattia.
  • Al paziente nei numerosi episodi ripetuti di febbre sono state omesse analisi specifiche delle urine (esami culturali oltre che la semplice conta leucocitaria urinaria) ed emoculture mirate che avrebbero permesso di isolare il germe. Le emoculture dovevano essere prelevate da CVC e sangue periferico per germi aerobi ed anaerobi, e quantunque, fatto in terapia antibiotica l’utilizzo di resina adsorbenti permetterebbe di eliminare l’azione dell’ antibiotico terapia. Inoltre tecniche più moderne effettuate in regime di prestazione esterna avrebbero potuto individuare genomicamente il germe (ES. Genobacter).
  • Comportamento non meno illecito è stato il non aver eseguito il drenaggio dell’apparato urinario con catetere a permanenza (o in ultima analisi, non comunque nel primo periodo, nefrostomie). Tale catetere, mantenuto sempre aperto, avrebbe favorito lo svuotamento del neoserbatoio e quindi avrebbe impedito il ristagno di batteri verosimilmente anche a livello dell’alto apparato urinario, considerato che le anastomosi uretero-neovescicali sono refluenti. Tale atteggiamento terapeutico avrebbe reso più efficace un’antibioticoterapia mirata in quanto agente su sistema urinario costantemente drenato e idratato. Infine in presenza di catetere transureterale aperto, idronefrosi e stato settico persistenti si sarebbe dovuto procedere al posizionamento di nefrotomia percutanea.
  • La terapia antibiotica eseguita è stata il più delle volte estemporanea, non mirata e non eradicante. La terapia empirica utilizzata, discutibile per la mancanza di copertura per germi anaerobi particolarmente presenti negli interventi addominali, è stata eseguita a volte con farmaci a dosaggi tali da non presentare una comprensiva efficacia in vescica (ciproxin 250 mg x 2) e molto spesso per periodi troppo limitati e non capaci di ridurre la carica batterica a livello simbolico. Questo ha permesso alla flora microbica di abituarsi ad una citoriduzione ed una colonizzazione senza effettuare mai un adeguato controllo che nel tempo avrebbe poi garantito un equilibrio fra flora e ospite. Tale stato ha permesso il passaggio delle infezioni alla cavità addominale che ha condotto alla sepsi. Una profilassi antibiotica adeguata avrebbe verosimilmente interrotto la catena causale che ha portato a morte il sig. M. in quanto trattavasi di soggetto con “uno stato di salute generale soddisfacente” così come descritto in cartella.
  • In riferimento ai colleghi dell’oncologia è stata condotta una terapia mirata ed adeguata al paziente ed alla patologia ma non è stato tenuto conto della storia infettivologica del paziente per cui non sono stati monitorati markers infiammatori ed infettivi. Solo al termine della sua storia ambulatoriale quando già erano presenti i sintomi urinari e poi addominali è stata introdotta una terapia profilattica. Molto probabilmente l’utilizzo di una profilassi continua con Ciprofloxacina e monitoraggio delle urine avrebbe permesso un controllo del quadro settico del paziente durante la terapia. È inequivocabile che sebbene la chemioterapia non abbia indotto neutropenia l’utilizzo del carboplatino abbia determinato una condizione di immunodepressione in campo leucocitario.

 VALUTAZIONE MEDICO-LEGALE

Le omissioni sono state tali da evidenziare una grave negligenza per i colleghi urologi ed oncologi (di reparto) ed una imprudenza continuata dei colleghi oncologi di ambulatorio.

LE CONSEGUENZE DELLA SUCCITATA MALPRACTICE MEDICA SI POSSONO COSI’ RIASSUMERE:

  1. DECESSO DEL sig. M. V. il quale ha coscientemente vissuto l’agonia degli ultimi giorni della propria vita in piena coscienza della morte imminente, vivendo 4 mesi di grave prostrazione fisica e psichica;
  2. GRAVE SOFFERENZA RIFLESSA DEI CONGIUNTI;
  3. SCONVOLGIMENTO DELLE ATTIVITA’ ESISTENZIALI DEI CONGIUNTI più stretti.

Prof. Massimiliano Postorino

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