Con la sentenza in commento, la Suprema Corte (9/2/16 n. 2584 Cass. VI Sez. Civ.), ha recentemente ridisegnato i confini della c.d. “lite temeraria”, ovvero, la condotta di colui che agisce o si difende in giudizio con malafede o colpa grave e finisce con il soccombere alle ragioni avversarie.

Tale principio, sancito nell’attuale art. 96 ult. comma c.p.c., prevede, quindi, la condanna di tali soggetti al pagamento di una somma ultronea rispetto alle spese di lite, in genere liquidata equitativamente sulla base degli importi tabellari relativi al valore del giudizio. L’importanza della pronuncia in commento, risiede nelle specificazioni che gli Ermellini compiono ampliando e specificando i confini della detta responsabilità.

Difatti, la malafede e la colpa grave sono individuabili, non solo nelle condotte di chi agisce o si difende in giudizio con dolo o colpa conclamata, ma anche nelle condotte di coloro che sostengono una tesi che non è confortata dalla giurisprudenza consolidata, ovvero, che non offrono valide opinioni, supportate da precisi elementi, in grado di poter favorire un diverso indirizzo giurisprudenziale.

Nella specie la sentenza trae origine da una vertenza riguardante un incidente stradale. Ebbene, l’automobilista/assicurato, ha sostenuto le proprie ragioni in maniera del tutto infondata e fantasiosa, senza offrire il minimo spunto di riflessione interpretativa, in presenza di un constante e consolidato orientamento contrario. Risultato di tale “contegno” processuale è stata la soccombenza nella lite e la condanna al pagamento della somma di €,5.000,00 equitativamente individuata, come danno da lite temeraria.

D’altronde, osservano gli Ermellini, agire o resistere in giudizio con malafede o colpa grave, significa alimentare o promuovere un giudizio, certamente oneroso per la controparte, pur avendo la certezza della infondatezza delle proprie difese. In tale condotta si rileva una responsabilità per omessa diligenza nell’acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione, nonché la mancanza del richiesto impegno per poter confutare e mettere scientificamente in discussione il diritto vivente o la giurisprudenza consolidata.

Tanto più evidente sarà la condotta scorretta, tanto più sarà liquidabile il danno in discorso. Nello specifico, stabiliscono gli Ermellini che il professionista del diritto difficilmente potrà non avvedersi della totale carenza di fondamento dele proprie pretese, così come pure, se realmente non se ne avvede, il suo comportamento sarà valutabile in termini di colpa grave posta la specifica e qualificata competenza richiesta a chi svolge un ruolo altamente professionale come quello dell’avvocato­.

Da quanto detto, deriva come conseguenza diretta che la parte, o il difensore della stessa, che era ben consapevole della infondatezza delle proprie ragioni è condannabile per responsabilità processuale. Come è facile intuire, la sentenza in discorso, se calata nell’ambito delle cause per responsabilità medica, porta a risvolti importanti e consente di preconizzare scenari inediti.

Difatti, dinnanzi alle numerosissime cause che si chiudono in maniera negativa per il paziente, non appare più solo una congettura che, stante la diversa capacità di valutare la fondatezza di una pretesa giudiziaria che è a tutto appannaggio del legale o del CTP, lo stesso paziente condannato per lite temeraria a risarcire il medico esente dal colpa (che da oggi ha una ragione in più per richiedere la liquidazione in suo favore di tale tipo di danno), si rivolga in regresso al legale o al CTP che, come purtroppo spesso accade, lo abbiano spinto a promuovere un giudizio infondato.

Avv. Gianluca Mari

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui