Nella sentenza in esame la Suprema Corte di Cassazione penale (3869/2018) si è occupata della responsabilità penale del medico di base

La vicenda in parola trae origine dalla morte di un paziente, affetto da tetraparesi spastica e cerebropatia, il quale, ricoverato presso un centro di riabilitazione accusava un forte dolore alla gamba destra che, come accertato in seguito, risultava essere stato cagionato dalla frattura del femore. In particolare, risulta rinviato a giudizio e poi condannato per omicidio colposo il medico di base atteso che, in presenza di una sintomatologia alquanto evidente (gonfiore e difficoltà a stare in piedi del paziente), gli somministrava un mero antibiotico per un pregresso problema ai denti, prescrivendogli infine un controllo dal medico fisiatra.

Ebbene, neppure il fisiatra rilevava la frattura del femore e pertanto insorgevano delle complicanze che hanno poi portato all’exitus del paziente.

Orbene, la Suprema Corte riteneva che la condotta del medico di base fosse caratterizzata da grave negligenza atteso che il citato sanitario non svolge una mera “funzione amministrativa”, consistente appunto nella semplice somministrazione di farmaci e nello “smistamento dei pazienti” allo specialista più competente ratione materiae.

Infatti, nel caso di specie, i sintomi erano talmente evidenti che anche una visita superficiale avrebbero consentito di individuare la patologia in corso e di intervenire con gli strumenti più opportuni e che pertanto la mera “raccomandazione” di consultare uno specialista non può certo considerarsi una condotta conforme alle leges artis.

A tal riguardo, peraltro, la Suprema Corte di Cassazione ha qualificato quale “plateale” la negligenza dell’imputato, senza neppure soffermarsi sul rispetto o meno da parte del sanitario delle linee guida dettate dalla legislazione medica.

E non solo !

Infatti, nella sentenza oggetto di questa breve disamina, vi è anche un altro aspetto giuridico che ad avviso di chi scrive occorre evidenziare.

Così come sopra riferito, il paziente risultava affetto da tetraparesi spastica e cerebropatia, con la conseguenza che aveva difficoltà – in sede di anamnesi – ad illustrare al medico i propri sintomi con la conseguenza dell’omesso consenso da parte del paziente.

Sul punto, gli Ermellini precisavano che sebbene, paradossalmente, l’assenza di consenso sia priva di tutela penale, in presenza tuttavia di difficoltà comunicative del paziente grava in capo al medico un “surplus di attenzione” che non sarebbe necessario nell’ipotesi in cui il paziente fosse in grado di comunicare con facilità i sintomi.

Infine, precisa il Collegio di Legittimità che la macroscopica negligenza del primo medico, ossia del medico di base, non esclude la negligenza e dunque la colpa dei medici successivi.

In particolare, viene precisato nella motivazione di sentenza che il paziente è deceduto in ragione di complicanze determinate dalla patologia iniziale, ossia dalla frattura del femore e che pertanto il nesso eziologico non risulta escluso da nessun fattore sopravvenuto, con la conseguenza che vi sarà penale responsabilità, ai sensi dell’art. 41 co. 2 c.p. (“Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità, quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione precedente commessa costituisce per se un reato, si applica la pena per questo stabilita.”) anche dei medici intervenuti successivamente.

 

Avv. Aldo Antonio Montella

Foro di Napoli

 

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