Il ricorso per cassazione proposto senza procura rilasciata nei modi previsti dalle norme costituisce abuso dei rimedi processuali, in quanto comporta un ingiustificato aggravamento del sistema giurisdizionale
Contro la decisione della Corte d’appello di Venezia che aveva rigettato l’istanza volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti in occasione di un infortunio sul lavoro, il ricorrente presentava ricorso per Cassazione .
Ma per i giudici della Corte il ricorso era inammissibile perché mancava la procura necessariamente richiesta per tale tipo di impugnazione; ciò è costato caro al ricorrente che perciò è stato condannato a versare 2.300,00, in favore di ciascuno dei controricorrenti ai sensi dell’art. 96 c.p.c. comma 3 c.p.c.
La vicenda
Il giudizio era stato avviato da una guardia giurata, la quale deduceva di aver riportato delle lesioni fisiche in seguito ad una caduta occorsa nello stabilimento in cui era in servizio.
L’incidente si era verificato a causa di un tombino lasciato aperto e coperto da un telo di plastica.
La domanda non aveva trovato accoglimento né in primo grado, né tanto meno in appello.
Quindi l’impugnazione della sentenza e il giudizio di legittimità. Ma come premesso il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Il giudizio di legittimità
Mancava infatti idonea procura del difensore, essendo stato indicato, soltanto “il ricorrente è rappresentato dal suo difensore giusta procura in atto di appello”, laddove, invece come è noto la procura per il ricorso per cassazione ha carattere speciale e deve, perciò, essere rilasciata in data successiva alla sentenza impugnata (Cass., ord., 11/09/2014, n. 19226 e Cass., ord., 7/01/2016, n. 58).
A detta degli Ermellini, sussistevano dunque, le condizioni “per la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, che richiede, sul piano soggettivo, la malafede o la colpa grave della parte soccombente, la quale sussiste anche nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda o impugnazione”.
La norma citata prevede che: “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza (…) e in ogni caso, quando pronuncia sulle spese, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.
Ed
infatti, la violazione del grado minimo di diligenza è certamente riscontrabile
allorché, come nel caso di specie, il ricorso per cassazione sia proposto senza
procura rilasciata nei modi previsti dalle norme e in spregio al consolidato
orientamento giurisprudenziale di legittimità al riguardo, traducendosi in tal
caso la proposizione del ricorso per cassazione oggettivamente in un abuso dei
rimedi processuali, in quanto comporta un ingiustificato aggravamento del
sistema giurisdizionale e un inutile dispendio di attività processuale, che
hanno l’effetto di determinare un aumento del volume del contenzioso e,
conseguentemente, di ostacolare la possibilità di definire in tempi ragionevoli
i processi pendenti.
Il ricorrente è stato pertanto, condannato, ai
sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, al pagamento di Euro 2.300,00, in favore di
ciascuna parte controricorrente.
La redazione giuridica
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