Un giudice pugliese si è trovato a deliberare sulla domanda di rimborso delle spese sanitarie presentata da un malato oncologico effettuate in urgenza terapeutica

Una interessante sentenza del Giudice di Pace di Lecce (n. 748/2018) che affronta un tema assai delicato che concerne il diritto all’assistenza sanitaria pubblica ( rimborso spese sanitarie nel caso de quo), in teoria garantito dall’articolo 32 della Costituzione.

In particolare, il giudice pugliese si è trovato a deliberare sulla domanda di rimborso presentata da un malato oncologico il quale aveva dovuto ricorrere urgentemente a una struttura privata non convenzionata con il Servizio sanitario nazionale per l’esecuzione di un controllo TAC (connesso con la patologia da cui egli era afflitto).

Dopo essersi rivolto invano a strutture convenzionate con le Asl di Brindisi, Lecce e Napoli, l’attore aveva deciso di effettuare l’esame presso un centro di medicina nucleare privato e aveva dovuto sborsare, di tasca propria, la somma di euro 1.802.

Nel corso del giudizio era emerso, da un lato che il paziente effettivamente si era trovato nell’urgenza assoluta di svolgere quell’esame e, dall’altro, che egli non aveva potuto accedere, in tempi ragionevoli, alle strutture sanitarie pubbliche o convenzionate con il pubblico così da trovarsi obbligato a  rivolgersi al centro di medicina nucleare privato.

Il giudice di pace ha messo in evidenza come, nel caso di specie, trovi applicazione quel diritto costituzionalmente garantito e intangibile connesso a un valore non negoziabile quale deve considerarsi, a tutti gli effetti, il diritto alla salute di cui all’articolo summenzionato della nostra Carta fondamentale.

La regola vigente in casi consimili è che il cittadino – se vuole usufruire della gratuità della prestazione – deve rivolgersi alle strutture pubbliche ovvero a quelle private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale e può chiedere il rimborso delle spese sanitarie sostenute (per aver voluto eseguire l’esame presso un centro privato non convenzionato) solo nel caso in cui egli sia stato preventivamente ed espressamente approvato da un provvedimento delle autorità competenti.

Nel caso di specie, tale nulla osta non c’era e, tuttavia, il giudice ha riconosciuto il buon diritto dell’attore in quanto sussistevano ragioni di assoluta urgenza tali da rendere non differibile il percorso diagnostico prescelto. Ergo, siffatti motivi – laddove ne sia appurata l’effettiva esistenza nel caso concreto – giustificano, e legittimano, il ricorso alle strutture private pur in assenza di una esplicita preventiva autorizzazione degli enti deputati a rilasciarla.

Essi  giustificano, altresì, anche il diritto del cittadino al rimborso di quanto speso per essersi sottoposto non già a un esame qualsivoglia (in quanto tale differibile nel tempo) quanto piuttosto a un esame quoad vitam,  cioè salva vita.
Altrimenti detto, solo l’esecuzione in tempi celeri (se non immediata) di tale esame avrebbe potuto consentire al malato di affrontare con discrete probabilità di successo l’incombere della patologia. Di talché, pur in assenza di un apposito ‘permesso’, egli deve essere rifuso di quanto speso presso la struttura privata non convenzionata con la pubblica amministrazione.

In definitiva, per quanto anzidetto, la P.A. non ha alcun potere discrezionale di incidere su un diritto intangibile (come quello alla salute). In ispecie, quando ricorrano circostanze contingenti connotate dall’impellenza tali da legittimare il cittadino – in assenza di un’adeguata copertura da parte del SSN –  a beneficiare di  soluzioni alternative presso strutture private.

Stiamo parlando, dunque, di posizioni soggettive “a nucleo rigido” e non “a nucleo variabile”: nelle seconde è accettabile (e comprensibile) un potere discrezionale da parte della pubblica amministrazione idoneo a derubricare i diritti a meri interessi legittimi per effetto di una valutazione di bilanciamento dei bisogni coinvolti. In presenza delle seconde, invece, proprio perché è implicata una dimensione costituzionale non negoziabile, viene meno ogni pretesa ‘selettiva’ da parte delle autorità  deputate a decidere.

In tali casi, il cittadino potrà avvalersi dei servigi a pagamento di centri di diagnostica e di terapia privati con la consolante certezza di ottenere poi il dovuto ristoro ad opera del Servizio sanitario nazionale. E ciò in ossequio a quel principio di tendenziale gratuità e di universalità assoluta delle cure che caratterizza la nostra carta costituzionale e che il giudice di pace il Lecce ha avuto il merito di rammentarci.

Avv. Francesco Carraro
Foro di Padova

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