Il CTU non è in grado di stabilire con criterio di probabilità una correlazione causale tra la rizoartrosi bilaterale denunciata e l’attività lavorativa manuale (Tribunale di Reggio Emilia, Sez. Lavoro, Sentenza n. 85/2021 del 07/04/2021 RG n. 771/2019)

Il lavoratore cita a giudizio l’Inail onde vederlo condannato a corrispondere le prestazioni previdenziali per il danno biologico permanente conseguente alla malattia professionale denunciata il 20.4.2017, unificando i postumi con la preesistenza del 7%.

Si costituisce in giudizio l’Inail eccependo preliminarmente la prescrizione del diritto e chiedendo il rigetto del ricorso.

La causa viene istruita attraverso l’escussione testimoniale e CTU Medico-Legale e, all’esito della fase istruttoria il Giudice ritiene che le domande avanzate siano infondate per mancanza di prova del nesso causale tra la malattia denunziata e l’attività lavorativa svolta.

La causa viene decisa in applicazione del principio processuale della ragione più liquida.

Il CTU ha escluso il nesso di causalità o concausalità tra l’attività lavorativa svolta dalla ricorrente e la denunciata rizoartrosi bilaterale.

Nello specifico, il CTU ha concluso: “La sig.ra, operaia metalmeccanica di anni 55, attualmente addetta al controllo qualità, è affetta da una patologia artrosica bilaterale a carico dell’articolazione carpo-metacarpale del I° dito, nota con il nome di rizoartrosi o osteoartrite. Sulla base della tipologia di lavoro espletato dalla lavoratrice, della scarsa documentazione lavorativa disponibile, del ‘rischio lavorativo emerso all’esito della presente indagine, dei dati di letteratura ad oggi disponibili, discordi e insufficienti per stabilire con criterio di probabilità una correlazione causale tra la patologia artrosica denunciata e attività lavorativa manuale, e stante la diagnosi della patologia risalente al Marzo 2011, non si ritiene di poter ricondurre la genesi della patologia denunciata all’attività lavorativa svolta”.

In replica alle osservazioni critiche del CTP di parte ricorrente, ha poi chiarito: “Le considerazioni del CTP ricalcano sostanzialmente il contenuto dell’elaborato peritale, fatta eccezione per le conclusioni. Si concorda difatti con il CTP circa la teorica possibilità di una relazione (con)causale, tra lavoro manuale e sviluppo di osteoartrite carpometacarpale, come appunto emerso da alcuni degli studi di letteratura già citati (fermo restando che altri studi, invece, non hanno evidenziato tale correlazione). Tuttavia, ciò che impedisce, nel caso in esame, di collocare la patologia artrosica della sig.ra nel novero delle tecnopatie, è, innanzitutto, l’impossibilità di quantificare l’effettivo carico di lavoro svolto dalla lavoratrice, per il prelevamento, la disamina e la successiva allocazione delle valvole metalliche (posto che tali azioni, si ribadisce, possono contemplare sia l’utilizzo delle sole prime 3 dita sia l’utilizzo dell’intera mano). Non risulta difatti significativa documentazione lavorativa prima dell’anno 2011 (ai fini della presente indagine, il periodo di maggior rilievo è quello intercorso tra l’anno 2002 e l ‘anno 2011), e quella disponibile successivamente a tale data, documenta un rischio lavorativo più contenuto (in virtù delle prescrizioni fornite del medico competente), difficilmente idoneo a determinare o aggravare la patologia artrosica denunciata, e già presente dal 2011. La difficoltà di dimostrare, in concreto, l’entità del rischio lavorativo, unitamente all’evidenza bibliografica ad oggi disponibile, discorde e insufficiente, non consente così di raggiungere, nel caso in esame, quel criterio di “rilevante o ragionevole probabilità scientifica “per ammettere la correlazione (con)causale tra la patologia denunciata e diagnosticata nel 2011, e il rischio lavorativo documentato”.

Il Giudice condivide le conclusioni del CTU e, in considerazione anche delle risposte alle note critiche, pone a fondamento della decisione gli esiti della consulenza espletata.

Ergo, non risultando provato il nesso di causalità o concausalità la malattia denunciata dalla ricorrente non può essere considerata di natura professionale.

Come asserito dalla Suprema Corte (Cass. lav n. 13814/2017), infatti, “nell’ipotesi di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all’origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione che può essere data anche in termini di probabilità sulla base della particolarità della fattispecie, essendo impossibile nella maggior parte dei casi ottenere la certezza dell’eziologia; è, tuttavia, necessario acquisire il dato della “probabilità qualificata”, da verificarsi attraverso ulteriori elementi, come ad esempio i dati epidemiologici, idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale”.

Per tali ragioni il ricorso della lavoratrice viene rigettato e, inconsiderazione del disposto dell’art. 92 cpc, vengono compensate le spese di giudizio tra le parti, mentre le spese di CTU vengono poste a carico della parte ricorrente.

In conclusione, il Tribunale di Reggio Emilia, in funzione di Giudice del Lavoro, rigetta il ricorso, compensa le spese giudiziali tra le parti e pone le spese della CTU a carico della ricorrente.

Avv. Emanuela Foligno

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