I giudici della Cassazione hanno ritenuto insussistenti, nella vicenda in esame, le condizioni di procedibilità poiché il reato di sottrazione di minori si era consumato interamente all’estero

La vicenda

La Corte di appello di Venezia aveva confermato la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Treviso nei confronti di un uomo, accusato del delitto di sottrazione di minori di cui all’art. 574-bis c.p.
All’imputato era stato contestato di aver sottratto i figli alla madre, trattenendoli all’estero contro la volontà di quest’ultima.
Dopo una vacanza trascorsa all’estero insieme all’intera famiglia, l’imputato aveva impedito ai propri figli di fare rientro in Italia con la loro madre; aveva perciò, distrutto i loro passaporti e i permessi di soggiorno e negato a quest’ultima di richiederne i duplicati.
Dopo il fatto era stata comunque pronunciata una sentenza di divorzio tra i coniugi, con affidamento dei figli al padre.
Nel giudizio d’appello il difensore dell’imputato aveva introdotto una questione relativa al difetto di giurisdizione. Difettava nel caso di specie, la richiesta del Ministro di giustizia ex art. 10 cod. pen, per essere il reato stato commesso interamente all’estero.
Ma la corte territoriale respingeva tale istanza ritenendo che il reato fosse stato posto in essere in parte anche in Italia. Ed anzi, l’evento, da identificarsi nell’impedimento al genitore di esercitare le sue prerogative si era verificato proprio nello Stato italiano, dove i due coniugi avevano fissato la residenza del nucleo familiare.
Era invece irrilevante che successivamente ai fatti fosse stata pronunciata sentenza di divorzio con affidamento dei figli al padre.

Il ricorso per cassazione

Sia l’imputato che il Procuratore generale della Corte di appello presentavano ricorso per Cassazione.
Anche per l’accusa vi era un difetto di giurisdizione: il fatto contestato si sarebbe verificato interamente all’estero, luogo dove, dopo una vacanza, concordemente i coniugi avevano deciso di vivere.
Solo successivamente, la moglie dell’imputato, non più d’accordo con tale decisione, si era vista impedita dal marito della possibilità di riportare i figli in Italia, facendo rientro senza di essi.
Pertanto, in difetto delle condizioni dell’art. 10 c.p., non avrebbe dovuto procedersi per quel reato.
L’art. 10 del c.p. rubricato “Delitto comune dello straniero all’estero”, dispone che “Lo straniero, che, fuori dei casi indicati negli articoli 7 e 8, commette in territorio estero, a danno dello Stato o di un cittadino, un delitto per il quale la legge italiana stabilisce l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a un anno, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato e vi sia richiesta del Ministro della giustizia, ovvero istanza o querela della persona offesa”.
Nel caso esaminato, i due coniugi avevano la residenza in Italia, ma avevano mantenuto la cittadinanza straniera e anche la residenza anagrafica all’estero. Era stata la donna, poi, a voler abbandonare la residenza nello stato italiano unilateralmente, mentre il marito era ancora in Italia per lavoro.
La sentenza impugnata si prestava, dunque a critiche insormontabili.
Ma non è tutto. Anche nel merito, la fattispecie contestata non integrava il reato per il quale l’uomo era stato imputato.

La decisione

Per i giudici della Cassazione i ricorsi colgono nel segno.
Ed infatti, è stato più volte affermato che l’art. 574-bis c.p. prevede espressamente la punibilità della sottrazione del minore al genitore esercente la responsabilità genitoriale allorquando l’azione delittuosa sia stata realizzata interamente all’estero (ovvero nell’ipotesi di trattenimento del minore all’estero contro la volontà del medesimo genitore), sempre che sussista l’elemento di collegamento con la giurisdizione italiana costituito dal verificarsi, all’interno del territorio dello Stato, dell’evento del reato, consistente nell’impedimento dell’esercizio delle prerogative genitoriali per effetto della condotta illecita (Sez. 6, n. 7777 del 14/12/2017).
Nel caso in esame, erroneamente le sentenze di merito avevano ritenuto di ravvisare il suddetto collegamento con il territorio italiano.
L’evento deve essere infatti, posto in correlazione con il luogo nel quale il minore ha la sua residenza abituale, concordata con l’altro genitore, al momento dell’arbitraria decisione del genitore di trasferirlo o trattenerlo all’estero.
È infatti, soltanto in relazione a tale luogo che si verifica l’offesa derivante dalla illecita condotta, che consiste nel pregiudizio del rapporto di effettiva cura del minore da parte dell’altro genitore, venendo impedito a quest’ultimo di continuare a soddisfare le molteplici esigenze fondamentali del figlio e, al minore, di mantenere consuetudini e comunanza di vita rispetto all’altro genitore.

La residenza abituale del minore: una situazione di fatto

A tal riguardo vale la pena ricordare che la Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, ratificata con la L. n. 64 del 1994, che disciplina gli aspetti civili della sottrazione internazionale del minore da parte di uno dei genitori, qualifica come illecito il trasferimento o il mancato rientro di un minore in relazione al luogo di “residenza abituale” di quest’ultimo immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro (art. 3).
Come ha precisato, poi, la giurisprudenza di legittimità (Sez. 1 civ, n. 30123 del 14/12/2017) la nozione di residenza abituale, posta dalla suddetta Convenzione, non coincide con quella di “domicilio”, né con quella, di residenza in senso formale, ma corrisponde ad una “situazione di fatto”, dovendo intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza ha consolidato, consolida, ovvero, in caso di recente trasferimento, possa consolidare una rete di affetti e relazioni tali da assicurargli un armonico sviluppo psicofisico.
Facendo dunque, applicazione di tali principi alla vicenda in esame, non poteva che ritenersi lo Stato estero il luogo nel quale i figli minori dell’imputato avevano la loro residenza in forma stabile, al momento della contestata sottrazione. Quello era il luogo ove i genitori avevano deciso concordemente di trasferire la residenza abituale dei figli minori e dove questi ultimi avevano effettivamente vissuto per circa un anno.
Conclusivamente la condotta contestata all’imputato doveva ritenersi interamente consumata all’estero e, vista l’assenza delle condizioni per la procedibilità, indicate dall’art. 10 c.p., le sentenze impugnate non potevano che essere annullate per difetto della giurisdizione italiana.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 
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