Poco conosciuta, la spondilite anchilosante è una patologia infiammatoria della schiena con danni irreversibili

Dolori acuti a livello lombare, difficoltà nei movimenti, rigidità muscolare al mattino: sembrano i sintomi di un banale mal di schiena, ma potrebbe trattarsi di spondilite anchilosante.
Appartenente al gruppo delle malattie reumatiche infiammatorie, la spondilite anchilosante è una patologia cronica immunomediata da non sottovalutare, perché se non diagnosticata in tempo può avere conseguenze molto serie.
“In un’alta percentuale dei casi – afferma Ilaria D’Emilia, reumatologa dell’Istituto Neurotraumatologico Italiano dove è responsabile del Centro Antares per Farmaci Biologici – la diagnosi resta misconosciuta per alcuni anni”.
Ma sbaglia chi pensa che si tratti di un disturbo poco comune. Dopo l’artrite reumatoide, infatti, la spondilite anchilosante è la patologia più diagnosticata e la sua prevalenza varia dallo 0,01 al 0,5%, con un’incidenza 3 volte maggiore nel sesso maschile. Resta, però, la difficoltà nella diagnosi della malattia.
“La ragione – prosegue l’esperta – risiede nel fatto che il sintomo di esordio della spondilite anchilosante è spesso una lombalgia persistente. Solo dopo un’attenta valutazione da parte di uno specialista è possibile sospettare la natura infiammatoria di tale lombalgia e arrivare a una diagnosi più precoce”.
Oltre al mal di schiena, gradualmente, si sviluppano altri sintomi che rendono inequivocabile la diagnosi. Tra questi, i più evidenti sono l’assunzione di una postura scorretta durante i movimenti, una notevole difficoltà nel flettersi, che può portare chi è affetto dalla malattia a sviluppare difficoltà a respirare, proprio a causa di coinvolgimento della muscolatura respiratoria. Quando quest’ultimo sintomo in particolare si manifesta, è segno che i danni causati dalla malattia sono purtroppo irreversibili.
Proprio in virtù di questo, continua Ilaria D’Emilia, è di fondamentale importanza effettuare una diagnosi che sia tempestiva e che consenta di procedere in tempi brevi con un appropriato trattamento farmacologico.
“Negli ultimi anni – afferma la D’Emilia – l’utilizzo delle tecniche raffinate di imaging, in particolare della risonanza magnetica, ha contribuito a diagnosticare la spondilite anchilosante nelle fasi precoci della malattia, ancor prima che vi sia la positività radiografica. Ciò ha permesso di identificare pazienti cui offrire l’opportunità di un trattamento precoce”.
Per quanto concerne il trattamento farmacologico, negli ultimi 20 anni l’utilizzo di farmaci biotecnologici ha cambiato radicalmente la storia di questa patologia. In tempi più recenti, la terapia si è infatti arricchita di molecole inibitorie coinvolte nella patogenesi della malattia, al punto che oggi gli esperti sono sempre più vicini all’obiettivo di identificare il paziente affetto da questa malattia anche in una fase molto precoce.
“Questo – conclude la reumatologa – consente di trattare la malattia con molecole sempre più specifiche che consentono di evitare l’evoluzione verso la fase ‘anchilosante'”.
Resta comunque centrale la prevenzione. Al primo manifestarsi di lombalgie persistenti è bene rivolgersi a uno specialista per escludere che si possa trattare di spondilite anchilosante e, in quel caso, non trascurare un’adeguata terapia di tipo fisico. Una buona rieducazione posturale per mobilizzare la colonna bloccata, associata a ginnastica respiratoria per contrastare la tendenza a una forma costrittiva di insufficienza respiratoria, sono contromisure necessarie per contrastare l’avanzare della patologia.

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