In primo grado il Tribunale di Nocera Inferiore aveva accolto l’opposizione di un lavoratore ed ammetteva al passivo del fallimento del proprio precedente datore di lavoro, in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751-bis c.c., il credito da lui vantato per il trattamento di fine rapporto maturato (TFR) e non versato alla forma di previdenza complementare prescelta

Il Collegio aveva invece ritenuto che l’accantonamento datoriale delle quote di TFR maturato dal lavoratore presso il fondo di previdenza complementare comportasse il diritto del lavoratore alla restituzione delle somme accantonate.

Avverso tale pronuncia il Fallimento proponeva ricorso ai giudici della Cassazione.

Interessante la pronuncia dei giudici Ermellini, i quali prima di pronunciarsi sulla materia oggetto d’esame hanno ricostruito il quadro giuridico in materia di previdenza complementare, individuandone i punti essenziali.

La previdenza complementare

La caratteristica peculiare della previdenza complementare, ancorché funzionalizzata, è rappresentata dall’autonomia, posto che “l’adesione alle forme pensionistiche complementari… è libera e volontaria” (D.Lgs. n. 252 del 2005, art. 1, comma 2) e che “le fonti istitutive delle forme pensionistiche complementari“, nella varia modulazione negoziale collettiva e regolamentare stabilita dall’art. 3, comma 1, D.Lg. cit., “stabiliscono le modalità di partecipazione, garantendo la libertà di adesione individuale” (art. 3, comma 3, D.Lg. cit.).

In estrema sintesi, la disciplina delle forme pensionistiche complementari ne stabilisce un finanziamento attuabile mediante il versamento di contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro o del committente e attraverso il conferimento del T.f.r. maturando.

Esse costituiscono risorse che i fondi di pensione gestiscono secondo le modalità previste dall’art. 6, e provvista per le prestazioni erogate a norma dell’art. 11.

La questione più delicata, che interessa il caso di specie, è indubbiamente quella del conferimento del TFR, che comporta l’adesione alle forme pensionistiche complementari, nella duplice modalità espressa o tacita (art. 8, comma 7, lett. a), b).

Ed infatti, nell’ipotesi di insolvenza del datore di lavoro che abbia provveduto ad accantonare il TFR conferito al fondo di previdenza complementare, senza tuttavia versarlo, si pone il problema di individuare, nell’ambito del rapporto associativo tra lavoratore e fondo, intermediato dal datore di lavoro (quale debitore delle quote tempo per tempo maturate) il soggetto che abbia diritto ad insinuare allo stato passivo la pretesa creditoria.

La decisione

Peraltro, considerato che si tratta di uno strumento negoziale liberamente negoziabile tra le parti e vista anche l’espressione atecnica di “conferimento” utilizzata dal legislatore, occorre accertare la natura e la funzione del mezzo di volta in volta utilizzato: se una delegazione di pagamento, con incarico conferito dal lavoratore al datore di versare le quote di TFR al fondo, ovvero di loro cessione, quale credito futuro, direttamente dal lavoratore al fondo, o strumenti ad essi assimilabili.

A seconda dell’opzione negoziale adottata, derivano evidenti effetti diversi, in ordine alla titolarità del credito nei confronti del datore fallito (da insinuare allo stato passivo della procedura concorsuale).

Ma nel caso in esame, il fallimento aveva completamente omesso la specifica indicazione, prima ancora della trascrizione, del modulo negoziale utilizzato tra le parti; tanto è bastato per dichiarare inammissibile il ricorso e condannarlo alla refusione delle spese di giudizio.

La redazione giuridica

 

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