Intervenuta tromboembolia polmonare nel corso dell’intervento correttivo di artroporesi: viene risarcito il danno da omessa informativa al paziente, ovvero da impreparazione (Corte d’Appello di Milano, Sez. I civile, Sentenza n. 2352/2020 del 23/09/2020)

La figlia del paziente deceduto con atto di citazione in riassunzione ex art. 392 c.p.c. ha introdotto il giudizio di rinvio a seguito dell’Ordinanza della Suprema Corte di Cassazione n. 30852/2018 pubblicata in data 29/11/2018 con cui, è stata cassata con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 894/2016 con la quale erano state respinte “tutte le domande risarcitorie, ulteriori rispetto a quelle accolte con la sentenza della Corte d’Appello n. 2327/2007”, nell’ambito di una complessa vicenda processuale promossa per conseguire il risarcimento dei danni subiti a seguito del decesso del padre avvenuto in data 24/4/1996 per una tromboembolia polmonare in occasione di un ricovero e nell’imminenza di un intervento chirurgico.

In particolare:

1) il paziente (affetto da una grave degenerazione artrosica all’anca destra) veniva ricoverato il 9/4/1996 presso la Casa di Cura milanese per essere sottoposto ad un intervento di artroprotesi all’anca destra. Veniva contestualmente sottoposto a terapia per la prevenzione della trombosi venosa e dell’embolia polmonare. Nei giorni successivi all’intervento, eseguito in data 10/4/1996, si verificavano due episodi di lussazione riconducibili ad un difetto di orientamento della protesi per cui venne programmato un intervento correttivo per la data del 24/4 /1996. Durante la preparazione di questo secondo intervento (in sede di preanestesia) il paziente decedeva per un malore causato da una massiva tromboembolia polmonare (distacco di un embolo partito dai vasi femorali dell’arto inferiore destro che aveva determinato l’ostruzione dell’arteria polmonare).

2) l’attrice deduce la responsabilità dei convenuti per la mancata sottoscrizione di un valido consenso, per l’inadeguato trattamento farmacologico e preparazione preoperatoria e per la non corretta esecuzione del primo intervento, da cui era scaturita la necessità di un nuovo intervento e conseguentemente la morte del padre, introducendo il giudizio dinanzi al Tribunale di Milano chiedeva il risarcimento dei danni patiti e patiendi iure proprio e iure hereditatis. Con sentenza n. 264/2004 pubblicata in data 10/1/2004 il Tribunale di Milano rigettava tutte le domande dichiarando compensate le spese di lite tra le parti. Il Tribunale, richiamando le risultanze della CTU, rilevava che la trombosi venosa polmonare era stato un evento imprevisto ed estraneo alla condotta del sanitario; che era da escludersi il nesso causale tra decesso ed errato posizionamento della protesi; che il paziente (di oltre 60 anni e sovrappeso) era un soggetto a rischio aggravato per T.V.P.; che il trattamento antitrombotico adottato, per il suo dosaggio, era stato inadeguato; che, peraltro, non era provato il nesso causale tra il decesso e la terapia antitrombotica somministrata (per la quale i CCTTUU non avevano ravvisato efficacia causale nemmeno in termini di probabilità); che doveva essere esclusa una responsabilità del medico per omessa informazione in quanto la dichiarazione in atti smentiva il contrario assunto di parte attrice.

3) Con sentenza n. 2327/2007 pubblicata in data 31/8/2007 la Corte d’Appello di Milano, in parziale accoglimento dell’appello, condanna i convenuti a pagare in favore della figlia del paziente deceduto, l’importo di euro 5.000,00 in via equitativa compensando le spese di lite tra le parti.

In tale sentenza veniva evidenziato che non era configurabile una responsabilità dei sanitari per il decesso occorso; che non era ravvisabile un inadempimento rispetto al consenso informato; che, invece, andava riconosciuto il risarcimento del danno sofferto dal paziente per l’errato posizionamento della protesi per i 15 giorni tra il 10 e il 24 aprile 1996, danno che, appunto, veniva liquidato nell’importo di euro 5.000,00.

4) La Corte di Cassazione, con sentenza n. 19731 pubblicata in data 19/9/2014, in accoglimento del terzo motivo del ricorso proposto dalla odierna appellante, cassava la predetta sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Milano per un riesame delle domande risarcitorie alla luce dei principi di diritto da essa formulati in sentenza in tema di consenso informato.

La Cassazione ribadiva la “mancanza di un nesso causale tra l’errore nel primo intervento chirurgico ed il successivo decesso quando ancora il secondo intervento non era iniziato”.

Mentre, riguardo al consenso informato, la Corte accoglieva il ricorso “in relazione al primo intervento” osservando che il c.d. consenso informato “evidenzia di per sé la sua lacunosità, posto che risulta sintetico ma incompleto, lasciando la integrazione del suo contenuto ad un colloquio esaustivo tra paziente e medico che non risulta neppure dalla cartella clinica”, mentre rigettava il ricorso “relativamente al secondo profilo del consenso informato per il secondo intervento riparatore”.

Relativamente al primo intervento chirurgico, la Suprema Corte rilevava l’erronea applicazione da parte della Corte d’Appello dei principi in tema di consenso informato laddove era stata ritenuta ” non dovuta la informazione in presenza di una percentuale statistica di mortalità dell’uno per cento perché fenomeno prossimo al fortuito, mentre la valutazione del rischio appartiene al titolare del diritto esposto, e cioè al paziente e costituisce una operazione di bilanciamento che non può essere annullata in favore della parte che interviene sia pure con intenti salvifici”.

La Suprema Corte concludeva, quindi, affermando che “sussiste dunque la prova evidente dell’inadempimento in relazione alla mancata e completa informazione sul rischio inerente al primo intervento con l’effetto che su tale punto resta fermo l’an debeatur mentre per il quantum dovranno essere riesaminate le pretese risarcitorie dell’erede che agisce in proprio in tale veste”.

5) La Corte d’Appello di Milano, in sede di rinvio, con sentenza n. 894 pubblicata in data 7/3/2016, rigettava tutte le domande risarcitorie, compensando le spese del giudizio svolto in Cassazione e condannando l’odierna appellante al rimborso delle spese del grado.

La Corte d’Appello, dopo aver richiamato i limiti del giudizio di rinvio in base alla sentenza della Cassazione, osservava che la figlia del paziente reclamava i danni connessi alla morte del congiunto trascurando i profili relativi alla violazione del diritto alla autodeterminazione, da tenersi distinto dalla lesione del diritto alla salute.

6) La Cassazione, con ordinanza n. 3085/2018 depositata in data 29/11/2019, in accoglimento del primo motivo di ricorso, ritenuto assorbente, cassava con rinvio -per la seconda volta- la sentenza della Corte d’Appello di Milano.

La Cassazione ha ritenuto la fondatezza del ricorso affermando che, tenuto conto dei principi del giudizio del precedente rinvio, “la pronuncia della Corte d’Appello di Milano si è discostata da questi principi rivalutando l’an del risarcimento sul quale era sceso il giudicato”.

Riassunto, quindi il giudizio a seguito del secondo rinvio, si costituiscono in giudizio la Struttura Sanitaria e il Sanitario invocando il rigetto delle domande attoree e deducendo che tutte le voci di danno riguardano, iure proprio e iure hereditatis , le conseguenze della morte del padre; che l’appellante aveva lasciato intendere che, se il padre fosse stato adeguatamente informato sui rischi dell’intervento; che andava tenuta distinta la violazione del diritto all’autodeterminazione dalla lesione alla salute; che l’attore non aveva mai allegato e provato la ricorrenza di un danno da difetto del consenso informato.

Preliminarmente la Corte d’Appello evidenzia che la Cassazione, pronunciandosi sul rinvio, ha affermato “la decisione di annullamento con rinvio vincola al principio affermato e ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla regola giuridica enunciata ma anche alle premesse logico giuridiche della decisione …..(..).. la pronuncia della Corte d’Appello di Milano si è discostata da questi principi rivalutando l’an del risarcimento sul quale era sceso il giudicato”.

Ciò posto, vengono evidenziati alcuni punti che sono da ritenersi passati in giudicato nella complessa vicenda che ha visto due passaggi cassati dalla Suprema Corte.

In primis è escluso il nesso causale tra il decesso del paziente e la prestazione sanitaria.

La colpa da prestazione sanitaria riscontrata ha riguardato solo l’errore di posizionamento della protesi che è stato ritenuto irrilevante rispetto al decesso -come chiarito dalla sentenza della Cassazione n. 19731/2014- e che il danno relativo a tale errore è già stato risarcito a seguito della sentenza della Corte di Milano n. 2327/2007 che liquidava detto danno biologico e morale di natura temporanea con l’importo di euro 5.000,00.

Risulta poi accertato l’inadempimento dei sanitari che ebbero in cura il paziente per carenza o inadeguatezza del consenso informato in relazione al primo intervento e restano da riesaminare le pretese risarcitorie avanzate dall’appellante in conseguenza di detto inadempimento.

Al riguardo, da tempo si è affermata la consapevolezza che ” in tema di responsabilità sanitaria, l’omessa acquisizione del consenso informato preventivo al trattamento sanitario determina la lesione in sé della libera determinazione del paziente, quale valore costituzionalmente protetto dagli artt. 32 e 13 Cost., quest’ultimo ricomprendente la libertà di decidere in ordine alla propria salute e al proprio corpo, a prescindere quindi dalla presenza di conseguenze negative sul piano della salute, e dà luogo ad un danno non patrimoniale autonomamente risarcibile, ai sensi dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. “.

Inoltre, da tempo sono state chiarite anche le possibili interferenze della violazione del diritto all’autodeterminazione con il danno alla salute del paziente coinvolto in una vicenda di cura.

La violazione del dovere di informare il paziente può determinare due differenti danni: 1) un danno alla salute laddove il paziente, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento; 2) un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione laddove il paziente, a causa dell’omissione informativa, subisca un pregiudizio.

L’appellante ha chiarito la natura e le componenti del danno derivanti dal mancato consenso informato deducendo che lo stesso comprenderebbe, non soltanto il danno, in sé e per sé, da lesione del diritto del paziente all’autodeterminazione, ma anche il danno, nelle sue varie componenti (iure proprio e iure hereditatis, patrimoniale e non patrimoniale) che riguarda la lesione alla salute subita dal padre deceduto per il verificarsi di una complicanza letale del primo intervento della quale non era stato informato.

Il vaglio delle voci di danno inerenti la morte del paziente è precluso in quanto è stato esclusa, con valutazione passata in giudicato, la sussistenza di un nesso causale tra la condotta dei sanitari e il decesso ma, soprattutto, perché, con riferimento alle possibili implicazioni del consenso informato, l’appellante non ha provato, né allegato, che suo padre, se fosse stato correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento.

Invece, merita di essere riconosciuto il risarcimento del danno vantato iure successionis per la lesione del diritto del paziente all’autodeterminazione in quanto tale.

La Corte di Cassazione ha statuito che il Sanitario convenuto era stato inadempiente rispetto al dovere di informare in modo completo il paziente sui rischi che sarebbero potuti conseguire dall’intervento medico cui veniva sottoposto e che, di conseguenza, quest ‘ultimo ha subito una lesione del diritto costituzionalmente garantito all’autodeterminazione.

Da ribadirsi che non risulta allegato, né provato, che il paziente, qualora fosse stato messo a conoscenza del suddetto rischio, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento, oppure avrebbe deciso di optare per trattamenti sanitari alternativi.

Ad ogni modo, il paziente in conseguenza della carente informazione, ha subito il così detto danno da impreparazione, e, cioè, quel danno da turbamento e sofferenze, dovute all’aggravarsi del proprio stato di salute, a sua volta enfatizzato dallo stupor per l’accadimento di un evento infausto cui non era psicologicamente preparato.

Invero, il malore che ha causato il decesso, ovverosia la tromboembolia polmonare che, per quanto improbabile, era prevedibile e che, ciononostante , non risulta sia stato prospettato come evento possibile al paziente.

Quindi, il paziente affrontava le inaspettate conseguenze dell’intervento senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle, trovandosi del tutto impreparato di fronte ad esse.

In tale ottica, il danno non patrimoniale viene ricondotto alla lesione del diritto all’autodeterminazione causato da deficit informativo. Danno del tutto autonomo rispetto alla lesione del diritto alla salute, che ha arrecato al paziente un pregiudizio non patrimoniale che ha superato la soglia della normale tollerabilità.

In punto di liquidazione, l’orientamento prevalente prevede il sistema equitativo e l’applicazione degli strumenti logico-deduttivi per la stima: oggetto, durata, intensità del danno e impatto che esso ha prodotto sul danneggiato.

Ebbene, la giurisprudenza di merito, ha liquidato tale danno in misura variabile dall’importo di euro 1.000,00, all’importo di euro 10.000,00 e la Corte stima equo liquidare l’importo di euro 7.500,00.

In conclusione, la Corte d’Appello di Milano, in parziale accoglimento della domanda, condanna le convenute in solido a pagare, a titolo di danno non patrimoniale dallo stesso vantato iure successionis in conseguenza della violazione del consenso informato, l’importo di euro 7.500,00 in moneta attuale, da maggiorarsi degli interessi legali dalla data del fatto al saldo; dichiara compensata la quota di 3/4 delle spese di lite sostenute dall’appellante e condanna gli appellati a rifondere in solido tra loro all’appellante la residua quota di 1/4 delle spese di lite relative ai vari gradi di giudizio.

Avv. Emanuela Foligno

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