Pronuncia della Corte di Cassazione in materia di determinazione della plusvalenza derivante dalla cessione infraquinquennale di immobili, con particolare riferimento alla possibilità, per l’Agenzia delle Entrate, di utilizzare il valore catastale quale criterio per individuare il prezzo di acquisto. L’ADER non deve fare riferimento al mero valore catastale dell’immobile per individuare il prezzo di acquisto (Corte di Cassazione, V – Tributaria civile, ordinanza 5 maggio 2025, n.11676).
Il contribuente impugna dinanzi davanti alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Messina l’avviso di accertamento emesso per IRPEF dell’anno di imposta 2007 con cui era ripresa a imposizione la plusvalenza, non dichiarata, derivante dalla cessione infraquinquennale di due immobili.
Secondo l’ADER, il contribuente aveva acquistato gli immobili stessi nell’ambito di un acquisto di complessive sei unità immobiliari, al prezzo a corpo di Euro 187.000,00, e che la vendita, di due di esse, era avvenuta al prezzo di Euro 180.000.
La CTP accoglieva il ricorso del contribuente evidenziando che l’amministrazione non potesse far riferimento, per individuare il prezzo di acquisto, al valore catastale e quindi ad un valore solo stimato.
Decisione della CTR e ricorso in Cassazione
In secondo grado, la Commissione tributaria regionale (CTR) della Sicilia, sezione staccata di Messina, accoglieva l’appello dell’Agenzia, evidenziando che, premesso che la plusvalenza non era stata dichiarata e non potendo negarsi evidentemente che plusvalenza vi fosse, legittimamente l’Agenzia aveva fatto riferimento ai valori catastali, stabilendo il prezzo delle singole unità immobiliari acquistate, mentre il contribuente, d’altro canto, non aveva indicato alcun prezzo diverso.
La vicenda finisce in Cassazione per stabilire, appunto, se sia corretto utilizzare il valore catastale dell’immobile per avere una stima di valore dello stesso.
Nullità della sentenza e motivazione apparente
Il contribuente deduce, innanzitutto, una nullità della sentenza per motivazione apparente (non essendo l’indicazione della disposizione contenuta nella rubrica vincolante: Cass. n. 7981/2007; Cass. n. 5848/2012), questione il cui esame è evidentemente preliminare.
Ebbene, la mancanza della motivazione riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza, si configura quando la motivazione “manchi del tutto, ovvero… essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni sono svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum.
Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata”.
Rilevanza del valore catastale e plusvalenza
Nel caso che è oggetto del presente commento, la motivazione esiste graficamente e ne è pienamente individuabile la ratio decidendi, peraltro puntualmente compresa dal ricorrente.
Chiarito preliminarmente quanto sopra, il contribuente ritiene l’erroneità della decisione laddove perché ha avallato l’operato dell’Agenzia che aveva utilizzato, per calcolare la plusvalenza, il valore catastale dell’Immobile e non il prezzo di acquisto.
La censura è infondata.
Premesso che l’art. 68 T.U.I.R. attribuisce rilevanza, in tema di plusvalenza da cessione infraquinquennale, ai fini della valutazione della sussistenza e del calcolo della medesima, al prezzo di acquisto e non al valore catastale, c’è però da evidenziare che la CTR, nell’individuare il prezzo di acquisto dei due immobili poi alienati, rilevante come base di calcolo della individuata plusvalenza, non ha dato rilevanza al valore catastale in sé ma ha, con accertamento in fatto, attribuito alle singole unità immobiliari compravendute un prezzo, basato sul valore catastale, la cui somma era sostanzialmente pari al prezzo indicato nell’atto, e cioè ha dato rilievo alla circostanza che nella compravendita cumulativa (come detto 6 immobili) le parti avessero attribuito a ciascuna unità immobiliare un valore pari alla rendita catastale, cui erano stati applicati alcuni coefficienti.
L’avviso di accertamento afferma «il prezzo d’acquisto degli immobili è stato determinato dalle parti contraenti attribuendo a ciascuna unità immobiliare un valore pari alle rendite catastali moltiplicate per i coefficienti previsti dalla normativa vigente al momento del trasferimento».
Quello che è avvenuto è un accertamento in fatto del prezzo di acquisto dei due immobili, cui il contribuente non ha opposto alcuna valida censura, come correttamente evidenziato dai Giudici di appello, e non della erronea interpretazione della disposizione di legge.
Errata attribuzione dell’onere della prova nella valutazione della plusvalenza
Infine, per quanto riguarda la lamentata violazione delle regole concernenti gli oneri probatori (art. 2697 c.c.) avviene nel caso in cui il Giudice di merito applichi la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni. Detta regola governa anche la giurisprudenza civilistica.
In buona sostanza, il cattivo esercizio dell’apprezzamento delle prove non legali da parte del Giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per Cassazione se la sua esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio.
In conclusione, la Cassazione rigetta integralmente il ricorso con condanna per il contribuente alle spese di lite.
Avv. Emanuela Foligno