Una sentenza della Corte di Cassazione ha fornito specifiche sull’atto di vendere un immobile mentendo sulla classe energetica dello stesso

È configurabile in quanto reato vendere un immobile mentendo sulla classe energetica dello stesso?
Secondo la Cassazione, che si espressa in merito con la sentenza n. 16644 del 4 aprile 2017, vendere un immobile mentendo sulla classe energetica, e quindi dichiarando la sussistenza di caratteristiche energetiche diverse rispetto a quelle reali, può costare una condanna per truffa.
Nel caso di specie preso in esame dalla Cassazione, la Corte d’appello di Milano aveva assolto un imputato (costruttore e venditore di un immobile) dal reato di “truffa contrattuale” (art. 640 cod. pen.), del quale era stato accusato poiché aveva proceduto a vendere un immobile mentendo sulla classe energetica, la quale aveva caratteristiche diverse da quelle dichiarate nell’Attestato di Prestazione Energetica (un documento che deve essere obbligatoriamente allegato al contratto di compravendita di un immobile).
La Corte d’appello aveva escluso la responsabilità dell’imputato, ritenendo che lo stesso fosse in buona fede, in quanto si era fidato nelle valutazioni dei tecnici che avevano attestato la conformità delle opere rispetto al progetto approvato.
Ma l’acquirente dell’immobile ha deciso di non starci, decidendo quindi di procedere al ricorso in Corte di Cassazione per ottenere l’annullamento della sentenza.
Il ricorrente ha specificato come l’imputato non poteva essere in buona fede, in quanto consapevole di aver utilizzato materiali di qualità inferiore rispetto a quella dichiarata, e “di avere installato serramenti ed impianto di riscaldamento non conformi e di non avere rifatto il tetto”.
Senza contare, come rilevato dal ricorrente, che il costruttore-venditore avrebbe dovuto aspettarsi che la difformità delle opere rispetto al progetto “avrebbe avuto delle conseguenze sulla classificazione energetica dell’alloggio”.
La Cassazione ha ritenuto effettivamente fondato il ricorso, sottolineando che tale difformità tra i lavori eseguiti e quelli progettati e “la conseguente vendita dell’immobile con una classe energetica effettiva non corrispondente a quella dichiarata non poteva sfuggire al costruttore”, perché le opere effettuate risultavano “meno costose di quelle che avrebbero dovuto essere eseguite per rispettare i parametri energetici contenuti nel progetto”.
Ne consegue che il risparmio di spesa causato dalla esecuzione di opere non conformi a quelle progettate era noto all’imputato, le quindi la Corte d’appello aveva commesso un errore nell’escludere che l’imputato avesse commesso il reato di “truffa contrattuale”.
Alla luce di tali circostanze, la Cassazione ha accolto il ricorso del ricorrente annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello.
 
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