Il reato di violenza sessuale risulta previsto e punito dall’art. 609 bis del codice penale ed è stato introdotto all’interno del nostro Ordinamento Giuridico dalla Legge n° 66/1996, all’esito della riforma della disciplina dei reati sessuali.
Inoltre, il reato in parola tutela la libertà sessuale dell’individuo, intesa come diritto del soggetto di disporre liberamente del proprio corpo, sotto il profilo squisitamente sessuale.
In particolare, la norma de qua sanziona qualsiasi atto sessuale che sia costituito da un contatto corporeo tra l’agente ed il soggetto passivo, prolungato ovvero fugace.
Dunque, affinché si configuri la fattispecie in esame, non rileva, da un punto di vista prettamente penale, che il contatto tra i corpi sia di breve oppure di lunga durata, bensì il medesimo deve essere tale da inficiare sulla libertà di autodeterminazione del soggetto passivo.
Tuttavia, nel corso degli anni, la Giurisprudenza di Legittimità, con la sentenza n° 11958/2011, ha affermato che la violenza sessuale può configurarsi anche quando l’agente, senza che il proprio corpo sfiori quello della persona offesa, pone in essere atti tali da ledere il bene primario della libertà sessuale della vittima.
Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui il carnefice utilizzi strumentazione atta ad offendere l’integrità sessuale della vittima, senza, pertanto, che il corpo del primo tocchi materialmente quello del secondo!
Dunque, fatta questa breve premessa in merito al reato di cui all’art. 609 bis c.p., analizziamo, ora, la sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione, Sezione 3°, individuata dal n° 18494/2017, enunciando brevemente il fatto storico.
Innanzitutto, occorre precisare al lettore che l’appena citata sentenza risulta emessa nel corso della fase procedimentale penale c.d. cautelare: ciò, invero, significa che il processo penale a carico dell’agente non è stato ancora celebrato (rectius: l’azione penale non risulta ancora esercitata dal Pubblico Ministero) e, pertanto, un giudizio in ordine alla sua colpevolezza ovvero innocenza non è stato ancora emesso.
Chiarito ciò, per una questione di trasparenza, ripercorriamo brevemente la vicenda.
Tizio risulta indagato per una verosimile violenza sessuale consumata dapprima ai danni di una prostituta, poi interrotta dall’arrivo di un vigilante ed, infine, proseguita nei confronti di un’altra prostituta.
Dunque, senza ripercorrere gli aspetti processuali e di merito della vicenda (in particolare dei tempi biologici per consumare due penetrazioni addotti dal ricorrente), trattandosi, si ribadisce, di una questione ancora sottoposta al vaglio dell’Autorità Giudiziaria, risulta – ad avviso di chi scrive – utile rappresentare quale è stato l’orientamento della Suprema Corte, posto alla base del rigetto del ricorso dell’indagato.
In particolare, gli Ermellini, richiamando un precedente orientamento di Legittimità, hanno affermato che il reato di violenza sessuale sussiste anche nell’ipotesi in cui il soggetto passivo abbia dapprima prestato il consenso al rapporto sessuale con l’agente, poi, tale consenso sia venuto meno.
In tale caso quindi, il reato si consuma nel momento in cui il soggetto passivo, anche se inizialmente consenziente, “revoca” il proprio consenso.
Ergo, laddove l’agente prosegua il rapporto carnale, risponderà di violenza sessuale, in quanto il soggetto passivo sarà posto in una situazione tale da non poter liberamente disporre della propria libertà sessuale.

 Avv. Aldo Antonio Montella

(Foro di Napoli)

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