“Laddove il comportamento del soggetto passivo in qualche modo assecondi il comportamento del soggetto agente, viene meno il requisito indispensabile del mutamento radicale delle proprie abitudini e la situazione di ansia che segna in modo irreversibile la vita della vittima”

Corte di Cassazione, III Sezione Penale, n. 9221/2016.

“(…) anche due sole condotte in successione tra loro, anche se intervallate nel tempo, bastano ad integrare sotto il profilo temporale la fattispecie, (Sez. V, 21.1.2010, n. 6417; Sez. III, 23.5.2013,n. 45648), non va tralasciato il fatto che le condotte molestatrici debbano risultare assillanti: espressione quest’ultima, che, al di là del mero riferimento temporale, attiene soprattutto alle conseguenze cagionate sulla vittima. (…) Se quest’ultima, infatti, anziché frapporsi come ostacolo invalicabile alle molestia, asseconda il comportamento del soggetto agente inducendolo a persistere in quegli atteggiamenti minacciosi, viene meno il requisito del pregiudizio alla psiche della persona offesa in termini tale da impedire alla vittima di vivere liberamente la propria quotidianità” (Sez. III, 23.3.2013, N.46179, Bernardi, Rv., 257632).

È questo l’ultimo orientamento espresso della Suprema Corte di Cassazione in tema di “atti persecutori”.

La vicenda vedeva coinvolti due ex fidanzati. L’indagato, in risposta alla volontà della ragazza di interrompere la propria relazione affettiva a causa della sua morbosa e pressante gelosia, aveva iniziato a renderla oggetto di ripetute pressioni, seguite anche da messaggi telefonici di tenore minaccioso che avevano determinato la ragazza a mutare le proprie abitudini di vita, tanto da essere costretta ad uscire sempre in compagnia di amiche per evitare rischi per la propria incolumità. In occasione, poi, di un incontro chiarificatore richiesto dal giovane, a cui la ragazza aveva aderito, lo stesso  approfittava delle circostanze di tempo e di luogo, per costringere la giovane donna a subire un rapporto sessuale completo.

Veniva così disposta la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e dai suoi prossimi congiunti; successivamente revocata dal Tribunale di Napoli – Sezione Riesame – che accoglieva la richiesta di riesame presentata nell’interesse dell’indagato.

A giudizio del Tribunale partenopeo: “mancavano gli elementi costitutivi del reato, in quanto la giovane, pur potendo reagire in modo diverso ai continui messaggi telefonici del ragazzo, interrompendo ogni forma di dialogo, proseguiva nello scambio di messaggi telefonici con lo stesso, di guisa che le minacce da costui proferite all’indirizzo della ragazza, anche in presenza di amici, dovevano inquadrarsi in reati diversi (minacce, ingiurie etc.) perseguibili a querela di parte, ma non nel reato di atti persecutori che esige una reiterazione dei comportamenti minacciosi nei riguardi di soggetto che si opponga in modo reciso ad essi, mentre nel caso in esame la ragazza, proseguendo nel dialogo telefonico persino dopo l’episodio della riferita violenza sessuale con l’ex fidanzato, si sarebbe prestata ad una sorta di complicità implicita incompatibile con la struttura del reato ipotizzato dalla Pubblica Accusa”.

Della stessa opinione anche la Suprema Corte di Cassazione che, confermando l’opinione già espressa dal giudice di merito, così conclude: “Il legislatore ha attribuito al delitto in esame natura di illecito che pregiudica il bene giuridico costituito dalla libertà morale. Gli atti persecutori, consistono, quindi, in condotte di tipo vessatorio che determinano la mortificazione delle condizioni soggettive della vittima, tanto da incidere sul modo di conformare il proprio comportamento in termini di autonomia e da turbare questi aspetti, complementari ma indispensabili, di quiete e di tranquillità, sui quali una siffatta autonomia necessariamente si fonda” (Sez. III, 7.3.2014, n.23485; Sez. V, 19.5.2011, n.29872).

(…) Si tratta di una gamma assai variegata di comportamenti aventi caratteristiche di elevata invasività e capaci di instillare nella vittima un senso di oppressione, di tensione e di paura.

“Il mutamento delle abitudini di vita è fatto costatato dall’esperienza come comportamento necessitato cui la vittima di atti di persecuzione ricorre per cercare di sottrarsi agli stessi: sicché accade molto di frequente che vittime di appostamenti e pedinamento cambino il percorso che le conduce a scuola, a casa o al lavoro: ovvero che non rispondano più al telefono e chiedono agli enti gestori il distacco degli apparecchi e l’eliminazione del loro nominativo dagli elenchi; ovvero, ancora, che si facciano accompagnare da terze persone per la paura di rimanere da sole con chi le molesta o le intimidisce. Si tratta, in genere, di precauzioni adottate per non fornire ulteriori occasioni di essere disturbati, a prezzo, però, di alterare e modificare i propri ritmi di vita quotidiana, le proprie forme di distrazione, le scelte minute che ordinariamente regolano l’assetto relazionale con l’esterno”.

“Ne consegue che laddove il comportamento del soggetto passivo in qualche modo assecondi il comportamento del soggetto agente, viene meno il requisito indispensabile del mutamento radicale delle proprie abitudini e la situazione di ansia che segna in modo irreversibile la vita della vittima”.

Avv. Sabrina Caporale

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