Confermata la condanna per abbandono di animali nei confronti di un uomo accusato di aver accettato che la moglie, cui aveva affidato la custodia del cane, lo abbandonasse
Il reato di abbandono di animali, modellato come illecito contravvenzionale, può essere indifferentemente realizzato con dolo o con colpa. Nessun ostacolo, perciò si oppone alla configurabilità del dolo nella forma eventuale, che si realizza quando l’agente, nonostante si sia chiaramente rappresentato la verificazione dell’abbandono dell’animale, si sia comunque determinato ad agire, anche a costo del verificarsi dell’evento lesivo. Lo ha chiarito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 6609/2020 pronunciandosi sul ricorso presentato da un uomo finito a giudizio, assieme alla moglie, per il reato disciplinato dall’articolo 727 del codice penale.
Il Tribunale aveva condannato la coppia alla pena di 800 euro di ammenda ciascuno per avere abbandonato, legandolo a un palo sito all’interno di un presidio sanitario, un cane di razza bulldog. Il Giudice, nello specifico, aveva ravvisato gli estremi oggettivi del reato ex art. 727 c.p., avendo accertato che il cane era stato casualmente trovato legato a un palo all’esterno di un presidio sanitario a.s.l. da un dipendente della struttura il quale, grazie al microchip, era risalito al proprietario, che però non era riuscito a contattare perché assente dall’isola per motivi di lavoro, come riferitogli dalla madre dell’imputato. Quest’ultima aveva precisato che il cane era stato affidato alla moglie, la quale, sebbene convocata, non era passata a prendere l’animale, che era stato trasferito al canile e successivamente ritirato da un delegato del marito.
Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il marito eccepiva, tra gli altri motivi, che il Tribunale non aveva correttamente applicato il principio secondo cui il proprietario, che abbia affidato il cane a un terzo, risponde dell’abbandono solo quando detto abbandono sia concretamente prevedibile, circostanza in relazione alla quale il Tribunale aveva omesso qualsivoglia motivazione, e tenendo conto che il cane si trovava nella disponibilità della moglie da quasi die anni.
I Giudici Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto il ricorso inammissibile.
Come accertato dal Tribunale, infatti, il cane, al momento del fatto, era nella materiale disponibilità della moglie del ricorrente; peraltro non vi era alcuna accorso tra quest’ultimo e la moglie, che avevano deciso di separarsi legalmente e di interrompere la coabitazione, riguardo a chi dei due dovesse prendere in custodia ed accudire l’animale in modo esclusivo.
Secondo la Cassazione, ritenuta la penale responsabilità della moglie, non ricorrente, quale autrice materiale dell’abbandono, in sede di merito era stato correttamente ravvisato in capo all’imputato non la colpa, come dedotto nel ricorso, ma il dolo eventuale, avendo egli accettato che la moglie, cui aveva affidato la custodia del cane, lo abbandonasse: previsione, questa, sorretta da solidi elementi di fatto, ben noti all’imputato, quali la circostanza che era stato proprio lui a portare in casa il cane, nonostante il dissenso della moglie a causa sia del costo dell’animale, sia del fatto che la donna non amasse gli animali, e considerando che, oltretutto, il cane in casa rompeva le sedie, sbavava continuamente, tanto che la donna era esasperata da questa situazione. Era perciò evidente che il marito si fosse rappresentato la circostanza che la donna, a cui aveva affidato il cane durante il suo periodo di assenza per motivi di lavoro, potesse concretamente abbandonare il cane medesimo: rappresentazione che, tuttavia, non gli aveva impedito di agire, anche a prezzo che si verificasse l’abbandono, come poi avvenuto.
La redazione giuridica
Leggi anche:
MALTRATTAMENTO DI ANIMALI: È REATO NON CURARE IL PROPRIO CANE