La Corte di Cassazione si è espressa in merito al caso in cui affittare a una persona senza permesso di soggiorno si configuri come reato

È configurabile come reato affittare a una persona senza permesso di soggiorno, facendogli anche stipulare un contratto a condizioni svantaggiose per trarre profitto dalle circostanze?
La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 32391 del 5 luglio 2017, si è occupata proprio di questa questione.

Nel caso esaminato dai giudici, il Tribunale di Milano aveva condannato un soggetto alla pena di sei mesi di reclusione.

L’uomo aveva dato alloggio, dietro pagamento di un affitto in nero, a degli stranieri privi di permesso di soggiorno.
In uno degli appartamenti che aveva deciso di affittare a una persona senza permesso di soggiorno si svolgeva attività di prostituzione da parte di alcune donne irregolari.
In un altro appartamento dello stesso stabile, sempre di proprietà dell’imputato, inoltre, era stato ritrovato un cittadino brasiliano senza permesso di soggiorno.
Questi aveva dichiarato di aver stipulato con l’imputato un contratto di locazione, a nome di un’altra persona, per un solo mese per 850 euro al mese.
Durante l’istruttoria, inoltre, era emerso che il cittadino brasiliano, in realtà, pagava un canone diverso.
Questo era pari a 1.500 euro mensili. Inoltre, era l’imputato stesso a ritirare il denaro, sapendo anche che l’inquilino si prostituiva.
Ebbene, per il giudice, la condotta posta in essere dall’imputato aveva determinato per lo stesso un ingiusto profitto.
Un profitto che derivava dall’aver applicato condizioni contrattuali più gravose rispetto ai valori di mercato.
Secondo il Tribunale, inoltre, l’imputato avrebbe profittato della condizione di irregolarità dei soggetti stranieri per arricchirsi.
La Corte d’appello, tuttavia, ha assolto l’imputato. Ciò in quanto non risultava provato che avesse voluto “trarre profitto dalla condizione di clandestinità degli inquilini”.
Inoltre, a suo avviso non si poteva parlare di “canone di locazione esorbitante rispetto a quello normalmente praticato”.

Il Procuratore Generale della Repubblica ha fatto quindi ricorso in Cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

A suo avviso, infatti, non sarebbe nemmeno stata possibile la registrazione dei contratti di locazione in questione.
Questo “a causa della condizione di irregolarità degli stranieri e quindi, quanto meno, l’ingiusto profitto vi era stato nel corrispettivo non sottoposto a prelievo fiscale”.
Inoltre, per il ricorrente appariva “inverosimile che la differenza tra il canone del contratto (Euro 850,00) e il canone realmente pagato (Euro 1.500,00) fosse imputabile a spese condominiali pari ad Euro 650,00 mensili per un piccolo appartamento in zona non lussuosa”.

La Cassazione ha quindi dato ragione al Procuratore, accogliendo il relativo ricorso.

Infatti, perché il reato possa dirsi configurato l’ingiusti profitto derivante dalla locazione deve essere evidente.
Non è necessario, tuttavia, che tali condizioni contrattuali si traducano in una prestazione gravosa per lo straniero.
E non è nemmeno necessario che il profitto sia collegato allo sfruttamento della condizione di irregolarità dello straniero.
Il giudice di primo grado aveva sottolineato “l’esistenza di contratti relativi ad un periodo temporale molto limitato e mai registrati, riportanti un canone che era circa la metà di quanto realmente corrisposto dai soggetti stranieri”.
Inoltre, il fatto che non esistessero contratti regolari rendeva evidente “la precarietà del rapporto” in sfavore dei clandestini.
Ne consegue che l’ingiusto profitto dell’imputato era evidente.
Pertanto, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello.
Sarà quest’ultima a dover decidere nuovamente sulla questione.
 
 
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