Assunzione di categoria protetta e giudizio di equa riparazione ai sensi della L. 89/2001 (Cass. civ., sez. II, 24 maggio 2022, n. 16741).

Assunzione di categoria protetta e durata irragionevole della controversia dinanzi al Giudice del Lavoro.

Secondo la Corte d’Appello, anche nelle controversie di lavoro, come in specie quella azionata per l’assunzione di categoria protetta, come nelle altre cause trattate con il medesimo rito speciale, è consentito alla parte di proporre istanza di decisione a seguito di trattazione orale ex art. 281 sexies c.p.c. funzionale ad ottenere la deliberazione a verbale della causa ed evitare che il giudicante potesse, ritenendo la complessità della controversia, assegnarsi un termine per il deposito della sentenza. In tal senso, dunque, poteva ritenersi configurabile la detta istanza, ove formulata almeno sei mesi prima della scadenza del normale termine triennale di durata del giudizio di primo grado, quale rimedio preventivo avverso la protrazione del giudizio, al di là del termine medesimo e, quindi, quale presupposto di ammissibilità della domanda di equa riparazione.

L’uomo, che ha atteso 4 anni per la conclusione di una controversia inerente la sua assunzione di categoria protetta, propone ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di due motivi di ricorso.

“In tema di equa riparazione, l’art. 1-ter, comma 1, L. n. 89/2001 deve interpretarsi – anche in ossequio al canone che impone di attribuire alla legge, nei limiti in cui ciò sia permesso dal suo testo, un significato conforme alla CEDU – nel senso che non rientrano nel perimetro di applicazione della norma i processi che si svolgono con il rito lavoro […]”.

La Suprema Corte si è pronunziata sulla domanda di equa riparazione per l’inosservanza del termine di ragionevole durata della controversia di lavoro promossa dinanzi il Tribunale di Messina per ottenere l’assunzione coattiva quale appartenente ad una categoria protetta ex l. n. 68/1999.

Gli Ermellini evidenziano che “non rientrano nel perimetro di applicazione dell’art. 1-ter L. n. 89/2001 i processi come quelli del rito del lavoro nei quali non opera la distinzione tra ordinario e sommario e ogni udienza è per sua natura di discussione orale con lettura del dispositivo e delle ragioni in fatto e diritto della decisione.”

In tali casi, infatti, il rimedio preventivo rappresentato dall’istanza di decisione a seguito di trattazione orale non può avere alcuna effettiva funzione acceleratoria essendo già prevista quale modalità ordinaria di trattazione delle cause.

Ed ancora, secondo l’indirizzo della CEDU «ai fini della effettività dei ricorsi relativi a cause concernenti l’eccessiva durata dei procedimenti, la migliore soluzione in termini assoluti è la prevenzione. Ciò comporta che, rispetto all’obbligo di esaminare le cause entro un termine ragionevole, imposto dall’art. 6, paragrafo 1, CEDU agli Stati contraenti, alle eventuali carenze del sistema giudiziario può sopperire nella maniera più efficace un ricorso finalizzato ad accelerare i procedimenti. Tale ricorso è da preferire ad un rimedio meramente risarcitorio, ma è effettivo soltanto nella misura in cui rende più sollecita la decisione da parte del tribunale interessato ed è adeguato solo se non interviene in una situazione in cui la durata del procedimento è già stata chiaramente eccessiva».

Anche la Corte Costituzionale, con la decisione 121/2020, ha ritenuto i rimedi preventivi introdotti per i processi civili dalla L. n. 208/2015 «riconducibili alla categoria dei rimedi preventivi volti ad evitare che la durata del processo diventi eccessivamente lunga, in quanto consistenti non già nella proposizione di un’istanza con effetto dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” ‒ che si riduce ad un adempimento puramente formale ‒, ma nella proposizione di possibili, e concreti, “modelli procedimentali alternativi”, volti ad accelerare il corso del processo, prima che il termine di durata massima sia maturato».

Nella specie, manca il modello procedimentale alternativo cui fa riferimento la Corte Costituzionale, il che rende palese l’assenza di effetto acceleratorio dell’istanza ex art. 281 sexies c.p.c. nel rito del lavoro.

In conclusione, la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Messina, in diversa composizione, che dovrà fare applicazione del seguente principio di diritto: “In tema di equa riparazione, la L. n. 89 del 2001, art. 1 ter, comma 1, deve interpretarsi – anche in ossequio al canone che impone di attribuire alla legge, nei limiti in cui ciò sia permesso dal suo testo, un significato conforme alla CEDU – nel senso che non rientrano nel perimetro di applicazione della norma i processi che si svolgono con il rito lavoro in quanto a seguito della modifica dell’art. 429 c.p.c., comma 1, disposta dal D.L. n. 112 del 2008, art. 53, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 133 del 2008 applicabile ai giudizi instaurati dopo la entrata in vigore della legge – è già previsto che il giudice all’udienza di discussione decida la causa e proceda alla lettura del dispositivo e delle ragioni in fatto e diritto della decisione, in analogia con lo schema dell’art. 281 sexies c.p.c.”

Avv. Emanuela Foligno

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