Tardiva diagnosi e trattamento di ernia discale (Tribunale Busto Arsizio, sez. III, 08/04/2022, n.546).

Tardiva diagnosi e trattamento di ernia discale non essendo stato sottoposto il paziente a risonanza magnetica d’urgenza.

Il paziente, cita a giudizio la ASST  per sentirne accertare la responsabilità sanitaria in ordine alla tardiva diagnosi e trattamento di ernia discale da cui era affetto, e per sentirla condannare al risarcimento dei danni quantificato in misura non inferiore ad euro 250.000,00.

Deduce l’attore di essersi recato per la prima volta presso il pronto soccorso dell’Ospedale in data 1.1.2015 alle ore 1.49, accusando dolore in regione lombare e veniva diagnosticata una algia alla colonna lombare.

Il 5.1.2015, si recava nuovamente presso il Pronto Soccorso, veniva sottoposto a visita neurochirurgica, che diagnosticava sciatalgia bilaterale e sottolineava la necessità di risonanza magnetica urgente; alle ore 19.45 veniva refertata la risonanza, attestante una ernia discale; alle ore 23.20 veniva dimesso con invito a tornare il giorno successivo per ulteriori visite.

Il 6.1.2015 alle ore 9.49 l’attore accedeva al pronto soccorso; alle ore 17.11 veniva ricoverato presso il reparto di Neurochirurgia, ove dalle ore 20.55 alle ore 23.15 veniva sottoposto a intervento chirurgico di laminectomia, erniectomia, discectomia L2-L3.

Lamenta l’attore che l’ernia discale comprensiva di una radice, in presenza di deficit neurologici quali quelli manifestati, in base alle linee guida applicabili avrebbe dovuto essere chirurgicamente operata non oltre le 24 ore dal primo manifestarsi dei sintomi, avvenuto in occasione del primo (o al più tardi del secondo) accesso al pronto soccorso. Tale ritardo era stato determinato dalla colpevole negligenza del personale sanitario, che non aveva sottoposto con urgenza a risonanza magnetica il paziente, causando una permanente compromissione e una sindrome della cauda.

La ASST chiede la chiamata in causa del Medico di Base del paziente.

Il Tribunale ritiene parzialmente fondata la domanda dell’attore, mentre la domanda svolta dalla ASST nei confronti del Medico di Base viene rigettata.

I fatti oggetto di causa risalgono al 2015, dunque in epoca antecedente rispetto alla data di entrata in vigore della legge n. 24 del 2017 (1.4.2017), e nella vigenza della legge n. 189 del 2012.

Trova dunque applicazione il regime antecedente, maturato nel ‘diritto vivente’ sin dal 1999, e perdurato nella vigenza dell’art. 3 legge n. 189/2012, che propendeva per la natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria ed anche del medico in essa operante, in quanto fondata sul contatto sociale, con applicazione dei relativi oneri probatori.

In applicazione dei principi generali sul riparto dell’onere probatorio in materia contrattuale, grava sul paziente danneggiato la prova della fonte negoziale, del fatto dannoso (insorgenza o aggravamento della patologia) e del nesso causale, nonché l’allegazione dell’inadempimento quale comportamento astrattamente e casualmente idoneo alla produzione del danno, mentre compete al debitore la dimostrazione dell’esatto adempimento o della insussistenza del nesso di causalità tra la condotta tenuta e l’evento di danno.

Riguardo al nesso causale, è a carico del paziente non solo la dimostrazione del nesso di causalità giuridica (intercorrente fra evento lesivo e danno – conseguenza), ma anche quello di causalità materiale (intercorrente fra condotta dei sanitari e evento lesivo).

Diverso ragionamento, invece, per il Medico di Base chiamato in giudizio dalla ASST. La responsabilità del Medico di Base non è invocata dall’attore, bensì dalla Struttura Sanitaria che pretende di agire in regresso.

Ferma restando la natura contrattuale della responsabilità del Medico di Base nei confronti del paziente, la responsabilità del medico costituisce, per la ASST, il presupposto dell’azione di regresso. Pertanto l’onere della prova di tutti i presupposti costitutivi di tale responsabilità – ovvero in particolare la condotta negligente, ed il nesso causale fra condotta ed evento lesivo – grava sulla struttura sanitaria.

La CTU ha accertato come sussistenti in capo alla ASST i presupposti della responsabilità contestata,  risultando in particolare dimostrato il nesso causale fra la condotta omissiva e negligente dei sanitari, con riferimento alla tardiva diagnosi e trattamento di ernia discale,  l’evento lesivo patito dal paziente. Per contro, non risulta accertato il coinvolgimento del terzo chiamato –Medico di Base- nella vicenda.

Dalla CTU si evince che : “tanto più è prolungata la sofferenza da compressione di una o più radici nervose, tanto minori sono le probabilità di recupero della funzione una volta rimossa la compressione ……la situazione menomativa odierna si caratterizza per un deficit completo della dorsi-flessione e della estensione del piede sinistro che impedisce la deambulazione senza un appoggio… il deficit dei movimento del piede è marcato ed è associata l’anestesia di tutta la gamba oltre che del piede”.

I CTU hanno escluso che alla data del primo accesso presso la struttura sanitaria convenuta si fosse manifestato un deficit neurologico, essendo stato piuttosto riscontrato unicamente una lombalgia ed una connessa sintomatologia dolorosa; i CTU hanno ricavato che dagli accertamenti effettuati non risultava alcuna compromissione delle radici L2 ed L3, che è successivamente emersa. Ed ancora, con riferimento alla mattina del 2.1.2015, ovvero all’epoca in cui l’attore è stato visitato dal terzo chiamato, i CTU “pur ritenendo probabile che il quadro clinico non fosse peggiorato rispetto al giorno precedente, hanno concluso che gli elementi dimessi in atti impediscono di affermare se a quell’epoca si fosse già manifestato il deficit neurologico.”

Per quanto riguarda gli eventi del 5 e 6 gennaio 2015, secondo i CTU, il momento decisivo è rappresentato dalla visita del medico di guardia, svolta alle ore 13.47. In quel momento, infatti, si colloca temporalmente la diagnosi del primo significativo deficit neurologico, rappresentato dalla compromissione dell’Epa e del Ta, ossia di muscoli innervati dalle radici lombari. La Tac delle ore 15.00, in un primo momento, e la risonanza magnetica, in un secondo momento, hanno permesso di determinare con certezza la causa di tale deficit, rappresentata appunto dall’ernia discale.

Quindi, a partire dalle ore 17,42 del 5 gennaio si manifestava il deficit neurologico; a partire da quel momento, il paziente avrebbe dovuto essere sottoposto a intervento chirurgico al più presto possibile, posto che esiste una correlazione inversa tra la ‘durata della sintomatologia deficitaria e il recupero funzionale.

Le linee guida raccomandano l’esecuzione di intervento chirurgico non oltre 24 ore dal manifestarsi dei sintomi: i sintomi del paziente si sono manifestati al più tardi alle ore 17,42 del 5 gennaio, e l’intervento ha avuto inizio alle ore 20,55 del 6 gennaio.

Ergo, la tardiva diagnosi e il ritardo nella esecuzione dell’intervento ha indubbiamente cagionato le condizioni di salute del paziente (rispetto a quelle che egli avrebbe avuto con un intervento tempestivo), in ragione della regola secondo la quale maggiore è la durata dei sintomi neurologici prima dell’intervento, e minore è il recupero funzionale dopo l’intervento.

Conclusivamente, il Tribunale accoglie parzialmente la domanda di accertamento della responsabilità e di condanna al risarcimento dei danni nei confronti della Asst e la condanna a pagare in favore del paziente l’importo di euro 70.079,00, oltre alle spese di lite.

Avv. Emanuela Foligno

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