Attività pericolosa, nesso di causalità e danni risarcibili

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Il caso oggetto di esame riguarda la cosiddetta attività pericolosa e vede coinvolta la Rete Ferroviaria Italiana.

La RFI, in qualità di committente dei lavori, appaltatrice e progettista-direttore dei lavori vengono chiamati a rispondere dei danni asseritamente subiti da immobili e attività commerciali in occasione dei lavori di realizzazione della galleria sotterranea della linea Alta Velocità del nodo di Bologna.

Il Tribunale di Bologna, accertati danni strutturali agli immobili e alle attività commerciali delle società attrici, ritiene parzialmente fondate le pretese e condanna le parti convenute, ai sensi dell’art. 2050 c.c., a rifondere i danni subiti.

La Corte di appello di Bologna, invece, rigetta le domande proposte nei confronti di RFI e direttore dei lavori, e rimette la causa in istruttoria in relazione ai rapporti delle parti attrici con la società appaltatrice.

Secondo i Giudici di appello, non può discorrersi di responsabilità per attività pericolosa in capo a RFI (committente) e al progettista, non essendo le loro attività qualificabili come pericolose, riferendosi la norma solo a chi esercita una tale attività e, dunque, solo all’appaltatore (Cass. n. 7499/2004).

Oltre a ciò viene dato atto della inesistenza di difetti di progettazione, come rilevato dal CTU, e che non risultava accertata alcuna ingerenza da parte della committente nella esecuzione delle opere affidate all’appaltatore.

Le parti danneggiate impugnano la decisione in Cassazione: lamentano la esclusione di pericolosità dell’attività edilizia in parola e la ritenuta estraneità all’evento della committente RFI e del progettista.

Il rigetto della Cassazione

Innanzitutto viene rammentato che la nozione di attività pericolosa deve essere estesa a tutte quelle attività che, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati, comportino una rilevante possibilità della verificazione di un danno.

Il requisito della pericolosità deve essere valutato caso per caso, tenendo presente che anche un’attività per natura non pericolosa può diventarlo in ragione delle modalità con cui viene esercitata, o dei mezzi impiegati per espletarla. A tal riguardo, l’indagine deve essere svolta seguendo il criterio della prognosi postuma, in base alle circostanze esistenti al momento dell’esercizio dell’attività.

In punto di nesso causale viene precisato che, ai fini del riconoscimento della responsabilità ricollegabile ad attività pericolosa, la necessaria sussistenza del nesso di causalità tra l’attività pericolosa stessa e l’evento di danno deve trovare manifestazione in una relazione diretta tra danno e rischio specifico dell’attività pericolosa. Diversamente il danno cagionato può essere riconosciuto solo in base al criterio generale dell’art. 2043 c.c., se ne ricorrono i presupposti di applicazione (Cass. n. 20359/2005).

Numerosi precedenti di legittimità hanno riconosciuto all’attività edilizia il carattere della pericolosità (Cass. n. 1954/2003; Cass. n. 10300/2007; Cass. n. 8688/2009).

Infatti i Giudici di appello hanno ritenuto applicabile questo principio sono nei confronti dell’appaltatrice dei lavori di realizzazione della galleria sotterranea della linea di Alta Velocità del nodo di Bologna, escludendo, quindi, che potesse ascriversi una responsabilità anche a Rete Ferroviaria Italiana Spa, committente, e alla società progettista e direttore dei lavori, perché “la norma si riferisce solo a chi esercita l’attività pericolosa e quindi all’appaltatore cui è affidata l’attività”.

La decisione è giuridicamente corretta e la motivazione che la sorregge viene integrata dalla Cassazione con le considerazioni che seguono (Cassazione Civile, sez. III, 31/07/2024, n.21603).

L’affidamento ad altri dell’attività pericolosa

La giurisprudenza è stabilmente orientata nel ritenere che l’affidamento ad altri, in piena autonomia, dello svolgimento di una attività pericolosa esclude che del danno cagionato possa reputarsi responsabile il committente. Tale pensiero si è consolidato proprio con riferimento alle ipotesi di appalto.

L’accertamento in fatto compiuto dal Giudice di appello – non investito da censura – dà evidenza alla circostanza che non vi è stata “alcuna ingerenza della committente Rete Ferroviaria Italiana nella esecuzione delle opere affidate all’appaltatore”, sulla scorta di un progetto che non presentava “alcun difetto”, anche in relazione alle “modalità tecniche indicate per la esecuzione”.

Ergo, per un verso, si è affermata la piena autonomia dell’impresa appaltatrice nella realizzazione del progetto e, per altro verso, si è esclusa qualsiasi responsabilità, anche concorrente, non solo della committente RFI, ma anche della progettista e di direttore dei lavori.

Inoltre, la Corte territoriale ha accertato, in base alle risultanze della CTU, che il progetto, privo di difetti, aveva previsto “l’eventualità di modesti danneggiamenti ai fabbricati in superficie”, essendosi, quindi, reputato “questa soluzione meno onerosa rispetto ad opere di presidio preventivo degli stessi immobili”; il Giudice di appello ha ritenuto che incombesse proprio all’impresa appaltatrice la “riparazione dei modesti danneggiamenti”.

Avv. Emanuela Foligno

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