Solo il 26% ha un proprio sito web e appena il 5% interagisce online con i clienti. Anche per questo la professione forense subisce i pesanti effetti della crisi economica.
«1° Rapporto sull’avvocatura italiana». L’anteprima dei risultati dell’indagine del Censis si basa su un campione di circa 8.000 avvocati e fotografa il «mestiere dell’avvocatura italiana» molto provato dalla crisi degli ultimi anni. Il 60% degli avvocati italiani ritiene che il calo di reputazione rappresenti il problema fondamentale nella professione. I problemi possono essere diversi, legati all’assenza di un mercato on-line o alla scarsa presenza sui social network di studi legali. La clientela ad esempio, è strettamente «di prossimità», visto che il 74% del fatturato deriva da clienti localizzati nell’ambito cittadino o provinciale, e solo il 2% proviene dal mercato internazionale. L’assistenza legale guarda prevalentemente alle persone fisiche, da cui deriva il 52% del fatturato totale, contro il 27% proveniente dalle piccole e medie imprese, l’8% dalle grandi aziende, il 7% dagli enti e dalle amministrazioni pubbliche, e il 6% da altre persone giuridiche private (associazioni, sindacati).
La tenuta occupazionale – In questo modo la professione forense ha subito i pesanti effetti della crisi economica. Solo il 30% degli avvocati italiani è riuscito a mantenere stabile il fatturato dell’attività professionale nell’ultimo biennio, per il 44% è diminuito (e la percentuale sale al 49% tra gli avvocati del Mezzogiorno), mentre il 25% lo ha visto aumentare. Nonostante ciò, c’è stata una tenuta occupazionale. Il 76% degli studi ha mantenuto invariato il numero degli addetti e il 9% lo ha persino aumentato. Oggi il 37% dei professionisti ritiene che in prospettiva la propria condizione non potrà che migliorare. L’indagine del Censis è chiara: il professionista forense soffre anche di un ritardo digitale. Solo il 26% ha un proprio sito web e appena il 5% interagisce online con i clienti.
Una professione su base individuale – Due avvocati su tre (il 67%) sono titolari unici dello studio. A prevalere è l’attività giurisdizionale, che assorbe il 66% del fatturato complessivo, contro il 29% che proviene dall’attività di consulenza e assistenza stragiudiziale, e il 5% dalle mediazioni e dagli arbitrati. E la professione appare ancorata a una generica specializzazione civilistica. Il 54% degli avvocati dichiara come prevalente la specializzazione in diritto civile, l’11% in materia penale, il 9% in diritto di famiglia (ma tra le donne avvocato la quota sale in questo caso al 14%), solo il 3% in diritto societario e appena l’1% in diritto internazionale. Solo l’11% degli avvocati indirizza la propria attività verso servizi specializzati.
«Il 51% avvocati per passione» – Il 29% l’ha vissuta come la realizzazione di un sogno: molti più di quanti sono diventati avvocati per caso (23%), in cerca di lauti guadagni (16%) o perché figli di avvocati (8%). Il 74% degli avvocati pensa che la formazione dei giovani dovrebbe essere una specifica area di intervento della Cassa forense. Elevato è il bisogno di rappresentanza e di un welfare professionale, al punto che il 78% degli avvocati ritiene che il nuovo regolamento della Cassa, che stabilisce i criteri per la fruizione dei servizi di previdenza e assistenza, sia uno strumento importante per rispondere alle esigenze dei professionisti. Il 65% è d’accordo sulla destinazione degli investimenti della Cassa per il finanziamento di opere e interventi a sostegno della ripresa economica del Paese. «La ricerca realizzata in collaborazione con il Censis – ha commentato il presidente della Cassa forense Nunzio Luciano – dimostra che è il cambiamento la prospettiva più urgente con cui fare i conti.