Accolto il ricorso di un lavoratore che si era visto rigettare la domanda volta al risarcimento del danno subito in occasione di una caduta nella tromba di un ascensore dismesso
La Cassazione, con l’ordinanza n. 35364/2021 ha accolto il ricorso di un lavoratore che si era visto rigettare, in sede di merito, la domanda proposta nei confronti di due aziende, avente ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno subito in occasione dell’infortunio sul lavoro occorsogli presso il cantiere della committente ove, incaricato dalla Società datrice di smontare alcuni termoconvettori al pian terreno del cantiere stesso, salendo al piano superiore per cercare valvole idrauliche che potessero intercettare acqua residua nei tubi e ivi aprendo una porta, priva di alcuna segnalazione di pericolo, rimaneva vittima di una caduta nella tromba di un ascensore dismesso, nella quale precipitava. L’attore chiedeva, nello specifico, a carico della prima impresa, l’accertamento della violazione dell’art. 2087 c.c. per non aver il lavoratore ricevuto la formazione nei rischi specifici del lavoro e, a carico della seconda, la mancata segnalazione del pericolo.
La decisione della Corte territoriale discendeva dal non aver trovato riscontro la censura formulata dall’appellante, secondo cui il primo giudice avrebbe interpretato in maniera errata lo svolgimento dei fatti come emersi nel corso dell’istruttoria, con particolare riferimento alle direttive impartite dal datore di lavoro e ciò in quanto era risultato provato che le direttive impartite ai lavoratori erano quelle di procedere allo smontaggio dei due convettori a soffitto siti al piano terra dell’edificio, dovendosi concludere a tale stregua e avendo riguardo alla sentenza penale di assoluzione delle due imprese, in base alla quale il sinistro si era verificato in luogo ove i due operai non avevano motivo di recarsi né avevano ricevuto ordine di andare così da indurre a considerare il sinistro quale conseguenza di un rischio non prevedibile da parte del datore di lavoro, qualificabile dunque come rischio elettivo e ad escludere in capo alla committente la responsabilità che gli deriverebbe dalla disponibilità del bene, stante la riconducibilità del sinistro – verificatosi all’interno di un edificio dismesso ed in corso di smantellamento ed in un’area nella quale il lavoratore non si doveva recare e nella quale si è avventurato contravvenendo a specifiche direttive impartite, per poi aprire la porta del vano ex ascensore al fine di entrare nel locale, sollevando anche la moquette posta a protezione della porta, il tutto nella quasi totale oscurità – al caso fortuito.
Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il lavoratore denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., imputando alla Corte territoriale l’erroneo apprezzamento degli elementi di fatto utili alla delimitazione dell’area di intervento del ricorrente e dell’obbligo di informazione gravante sul datore e di conseguenza l’incongruità logica e giuridica dell’iter valutativo in base al quale la Corte territoriale stessa aveva ritenuto di sollevare la Società datrice dall’onere probatorio circa l’assolvimento degli obblighi informativi e la riconducibilità dell’evento al “rischio elettivo”. Deduceva, inoltre, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2051, 2697 c.c.,115 e 116 c.p.c., ribadendo a carico della Corte territoriale il medesimo travisamento della situazione di fatto, sotto il profilo della ritenuta irrilevanza della mancata segnalazione della situazione di pericolo nell’area in cui si era verificato il sinistro e l’incongruità logica e giuridica dell’iter valutativo in base al quale la Corte stessa aveva escluso la responsabilità della committente.
Gli Ermellini hanno effettivamente ritenuto di aderire alle doglianze proposte.
La Cassazione ha tenuto conto dell’orientamento accolto dalla giurisprudenza di legittimità in base al quale “del c.d. rischio elettivo e della conseguente responsabilità esclusiva del lavoratore può parlarsi soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento, creando egli stesso condizioni di rischio estraneo a quello connesso alle normali modalità del lavoro da svolgere, restando diversamente irrilevante la condotta colposa del lavoratore, sia sotto il profilo causale che sotto quello dell’entità del risarcimento, atteso che la ratio di ogni normativa antinfortunistica è proprio quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia dei lavoratori”; pertanto, doveva ritenersi fondata la censura sollevata dal ricorrente per cui la Corte territoriale non dava conto dell’esorbitanza della condotta dalle direttive ricevute, per essere stato espressamente vietato al lavoratore di portarsi al piano superiore rispetto al piano terra ove doveva essere eseguito lo smontaggio dei convettori, non consentendo così di escludere il rischio improprio, insito in un’attività prodromica o strumentale allo svolgimento della specifica mansione affidata.
La Suprema Corte, poi, ha ritenuto sussistente la responsabilità della Società committente nella cui disponibilità permaneva l’ambiente di lavoro, essendo obbligata ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell’impresa appaltatrice; misure che consistevano, nel caso di specie, nel fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori circa le situazioni di rischio, nel predisporre tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza degli impianti e nel cooperare con l’appaltatrice nell’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata.
La redazione giuridica
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