Cambiamento di sesso non riuscito: la lesione patita non coinvolge solo il diritto alla salute, ma anche il diritto all’identità sessuale ed alla dignità della persona

L’esponente aveva dichiarato di essersi rivolta all’ospedale convenuto in giudizio per eseguire un intervento di cambiamento di sesso. Dopo tale operazione, seguirono altri e diversi interventi, che aggravarono le condizioni di salute della paziente.

Quest’ultima agì, pertanto, in giudizio al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti, a causa, a suo dire, dell’imperizia dei medici intervenuti. La Asl si costituì in giudizio, chiedendo il rigetto delle domande proposte nei suoi confronti.

La parte ricorrente aveva imputato alla Asl il fallimento dell’intervento medico di cambiamento di sesso, oltre ad una inadeguata informazione.

Ebbene, il Tribunale di Savona investito della domanda, ha preliminarmente osservato che “la responsabilità civile si compone di tre elementi: una condotta colposa, un danno ingiusto (cioè lesivo di un interesse giuridicamente protetto), ed un nesso di causalità tra la prima ed il secondo”.

Spetta al paziente dar prova del contratto, del danno e del nesso di causalità; al convenuto, invece, dimostrare l’esattezza della propria prestazione.

Più specificamente, il paziente deve fornire la prova del contratto, dell’aggravamento delle proprie condizioni di salute o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento o, comunque, del mancato miglioramento (Cass. 24791/08) e del relativo nesso di causalità (Cass. 10743/09), mentre spetta alla struttura la prova che la prestazione è stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti sono stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile o, comunque, non prevenibile.

Ebbene, nel caso in esame, non vi erano dubbi che tra la Asl e la ricorrente vi fosse stato un contatto sociale e che le condizioni di salute di quest’ultima si o fossero aggravate a seguito dell’intervento.

Il CTU aveva evidenziato che “l’esito infausto dell’intervento era stato determinato da una lacerazione del retto con conseguente successiva comparsa di fistola retto vaginale, causa, poi, a sua volta, della stenosi della neovagina”. Lo stesso CTU aveva, inoltre, evidenziato che non c’era alcuna circostanza extraoperatoria che giustificasse una simile lacerazione.

La Asl, dal suo canto, non aveva dimostrato, com’era suo onere, quali misure fossero state adottate ad evitare il verificarsi della fistola. Neppure era stato dimostrato che il riconoscimento della lesione, causa di ulteriori complicanze, fosse stato tempestivo.

Secondo il CTU, quanto affermato configurava una mancanza del personale medico intervenuto. E, l’Asl al riguardo non aveva fornito la prova liberatoria, ossia la dimostrazione di aver osservato le leges artis, di aver, cioè, tenuto un “comportamento diligente” (Cass. 1538/10; Cass. 24791/08) o, comunque, la prova che “la prestazione [fosse] stata eseguita in modo diligente e che il mancato o inesatto adempimento [fosse] dovuto a causa a sé non imputabile, in quanto determinato da impedimento non prevedibile né prevenibile con la diligenza nel caso dovuta” (Cass. 4030/13), come nel caso di complicanza inevitabile (Cass. 12274/11).

Infatti, la Asl non era stata in grado di fornire una ragione attendibile sulla cui base riferire a circostanze extraoperatorie l’insuccesso medico e neppure aveva dimostrato la correttezza dell’intervento.

Il danno conseguente all’operazione

Tanto premesso l’adito Tribunale ha condannato l’Asl a risarcire tutti i danni patiti dalla paziente.

Affrontando un annoso nodo interpretativo, la Suprema Corte ha chiarito che “il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettibile di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate”.

E’, pertanto, compito del giudice, nel singolo caso concreto, liquidare un’unica voce di danno non patrimoniale, individuata e ponderata, in modo tale da ricomprendervi unitariamente tutti i pregiudizi risarcibili, purché oggetto di specifica allegazione e di idonei riscontri probatori forniti dall’interessato.

In particolare, nella liquidazione del pregiudizio alla salute, occorre in astratto tenere conto: (a) dell’invalidità permanente causata dalle lesioni (danno biologico permanente), la cui liquidazione comprende necessariamente tutti i pregiudizi normalmente derivanti da quel tipo di postumi; (b) delle sofferenze che, pur traendo occasione dalle lesioni, non hanno un fondamento clinico, come, ad es., il dolore fisico che ha in base medico legale ed è già, quindi, ricompreso nel bareme: si tratta, ad esempio, della vergogna, della prostrazione, del revanchismo, della tristezza, della disperazione.

Nel risarcire il danno subito, il Giudice deve, poi, determinare “la compensazione economica socialmente adeguata” del pregiudizio, quella che “l’ambiente sociale accetta come compensazione equa”.

La liquidazione del danno non patrimoniale deve infatti, essere necessariamente equitativa, stante dell’impossibilità o estrema difficoltà di prova nel suo preciso ammontare (Cass. 12613/2010).

Quanto, al risarcimento del danno biologico, è possibile utilizzare le tabelle del Tribunale di Milano che determinano la somma da liquidare avendo riguardo non solo al cd danno biologico in senso stretto (inteso quale mera lesione dell’integrità psicofisica della persona suscettibile di valutazione medico legale – cfr. artt. 138 e 139 D.lgs. 209/2005), ma, altresì, alle sofferenze patite ed a tutti i pregiudizi di natura dinamico-relazionale subiti dal danneggiato ed ordinariamente connessi, secondo una prognosi di normalità al grado delle lesioni riportate.

A tal fine, il Giudice deve personalizzare la liquidazione del danno non patrimoniale variando adeguatamente, in più od in meno, il valore risultante dall’applicazione del criterio standard, al fine di adeguare il risarcimento alle specificità del caso concreto.

La personalizzazione del danno per il cambiamento di sesso non riuscito

La personalizzazione del danno – si è anche detto – si fonda sul danno esteriore consistente nelle conseguenze negative sulla vita sociale della vittima (danno dinamico relazionale); tanto più questo è grave, tanto maggiore dovrà essere l’aumento riconosciuto sulla liquidazione standard. Tale operazione va compiuta senza automatismi risarcitori, e soprattutto sulla base di adeguata motivazione che spieghi – quali pregiudizi sono stati accertati – con quali criteri sono stati monetizzati; – con quali criteri il risarcimento è stato personalizzato” (Cass. 23778/14).

Su un piano diverso, invece, si pone la sfera interiore e, in particolare i sentimenti di vergogna, disagio conseguenti all’altrui illecito e che condizioneranno tutta la vita della ricorrente.

Quest’ultima tipologia di danno è estranea al sistema tabellare e deve, quindi, essere liquidata a parte, in quanto non suscettibile di valutazione medico legale.

Nel caso di specie, ai fini della personalizzazione del danno, il Tribunale ha preso in considerazione:

  • le sofferenze fisiche patite dalla donna (quantificate come medioio alte dal ctu) per effetto dei numerosi interventi cui si era sottoposta;
  • i giorni passati in ospedale (all’incirca 3 mesi);
  • le difficoltà relazionali con le altre persone a causa dell’imperfetto cambiamento di sesso.

Tali profili giustificano una liquidazione del danno non patrimoniale nella misura tabellare massima.

Per effetto della personalizzazione, quindi, a titolo di danno biologico sono dovuti complessivi euro 214.618,00.

Per quanto riguarda il danno alla sfera interiore, il Tribunale di Savona ha osservato che “già l’intervento di cambiamento di sesso, comportando una demolizione di una parte del proprio fisico ed una ricostruzione, è fonte di stress, ansia, angoscia, tant’è che non tutti sono disponibili a sottopor visi, nonostante la consapevolezza di una discrasia tra il genere sessuale cui appartengono psicologicamente e quello cui appartengono fisicamente”.

E, quindi, agevole sostenere che la parte che vuole fortemente tale cambiamento anche sul piano fisico, tanto da superare tale profondo travaglio interiore, subisce un trauma insuperabile, nel momento in cui l’esito dell’intervento non è adeguato alle proprie aspettative.

Il diritto alla salute e alla identità sessuale

Ciò non può che produrre sentimenti di vulnerabilità, umiliazione e ansia, sentimenti in astratto potenzialmente perpetui ed insuperabili, dal momento che parte ricorrente è rimasta prigioniera di un fisico che sente non appartenergli.

La lesione patita, quindi, non coinvolge solo il diritto alla salute, ma anche il diritto all’identità sessuale ed alla dignità della persona.

Il primo è un diritto inviolabile della persona, quale essenziale forma di realizzazione della propria personalità (Cass. 16417/2007 e Corte Cost. 122/15) che gode di tutela costituzionale (art. 2 Cost.) di fonti di diritto internazionale (art. 8 CEDU) e legislativa (L. 164/82).

Si tratta del diritto della persona di scegliere la propria identità sessuale, femminile o maschile, a prescindere dal dato biologico e di essere riconosciuta ed identificata, sia nell’ambiente sociale in cui opera che nella famiglia, in modo corrispondente al sesso cui sente di appartenere, anche se diverso da quello accertato al momento della nascita. Come evidenziato dalla dottrina, tale diritto “si atteggia essenzialmente come libertà, non soltanto negativa, implicante il rispetto della propria individualità sotto il profilo sessuale, con conseguente dovere per la collettività di astenersi da comportamenti lesivi; ma anche, e soprattutto, positivo, come libertà, tutelata dall’ordinamento, di scegliere la propria identità di genere e di autodeterminarsi al verificarsi dei presupposti richiesti”.

La decisione

Nel caso di specie, invece, il passaggio da un genere sessuale all’altro non si era del tutto perfezionato a causa delle condizioni dell’organo genitale femminile, e ciò quindi, impediva alla ricorrente di poter vivere appieno, sul piano psicologico, la propria femminilità.

Per queste ragioni, il giudice di primo grado ha liquidato in via equitativa ex art. 1226 c.c. l’ulteriore somma di 150.000,00  euro a titolo di risarcimento di tale voce di danno, tenuto conto degli ulteriori valori costituzionali coinvolti (dignità ed identità sessuale).

La redazione giuridica

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