Tre dei quattro cani di razza Corso scappano dal recinto e aggrediscono un passante che perde la vita. La Cassazione conferma la condanna del secondo grado (Corte di Cassazione, quarta penale, sentenza 22 aprile 2025, n. 15701).
I cani aggrediscono un passante
Due coniugi detenevano, nel cortile della loro abitazione, quattro cani di razza Corso particolarmente aggressivi, di proprietà della donna, omettendo di custodirli con le dovute cautele per impedire che potessero recare danno alle persone, nonostante in precedenza gli animali fossero già fuggiti sottraendosi al loro controllo.
L’area cortilizia antistante l’abitazione dei due coniugi era circondata da una rete metallica, ma il manufatto non era idoneo a trattenere gli animali, anche perché il recinto non era sottoposto ad adeguata manutenzione.
In data 8 marzo 2018, tre dei quattro cani fuggivano attraverso un varco apertosi nella rete, imbattendosi in un passante e aggredendolo: lo azzannavano con forza al braccio sinistro.
La persona offesa tentava vanamente di difendersi dall’aggressione, entrando in colluttazione con gli animali e venendo morsa in varie parti del corpo (estremità inferiori e superiori).
In preda al panico, nel tentativo di sfuggire ai cani, il passante fuggiva in direzione del vicino letto del fiume, precipitando al suo interno dopo aver impattato contro gli arbusti presenti sull’argine.
Il violento shock causato dalle gravi lesioni riportate ad opera dei cani e dall’impatto con l’acqua notevolmente fredda del fiume determinava una perdita di coscienza, con conseguente morte per annegamento.
La vicenda giudiziaria
Il Tribunale di L’Aquila condannava il proprietario dei cani, ritenendolo colpevole di aver cagionato per colpa (consistente in negligenza ed imprudenza) la morte del passante. La Corte di Appello di L’Aquila confermava la sentenza di primo grado.
Avverso il secondo grado propone ricorso per Cassazione la moglie, proprietaria dei cani. Lamenta carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza in relazione ai morsi del cane rinvenuti sulla vittima e omessa motivazione della presenza di cani randagi nel luogo teatro dell’aggressione e omessa motivazione circa la validità della tesi alternativa della difesa. Secondo la donna, proprietaria dei cani, difetterebbe quella univocità e concordanza degli indizi tale da poter determinare il convincimento in ordine alla certezza del fatto oltre ogni ragionevole dubbio.
La rete del recinto non era idonea
Il ragionamento dei Giudici abruzzesi sarebbe illogico, oltre che contrastante con le emergenze istruttorie. Per la ricorrente non si comprende come la Corte dalla dichiarazione del teste circa la presenza di un rinforzo nella rete di recinzione al momento del sopralluogo dei Carabinieri, avvenuto dopo la data del fatto, abbia potuto desumere che l’8/3/2018 il rinforzo alla rete non fosse stato già eseguito e che pertanto la stessa presentasse un varco dal quale i cani erano usciti, escludendo che fossero invece usciti dal cancello rimasto accidentalmente aperto per opera della proprietaria e detentrice dei cani.
Oltre a ciò i Giudici di appello hanno dichiarato che la recinzione era inadeguata in quanto “recinzione da orto”. Sarebbe pertanto evidente che il ragionamento della Corte sul punto poggia su una mera ipotesi o congettura che non tiene conto della sequenza temporale delle risultanze istruttorie. Danno anche atto che i cani Corso erano avvezzi ad allontanarsi dal cortile in questione e che, sul piano della colpa addebitata, non vi sarebbe stato alcun comportamento illecito essendo state poste in essere tutte le cautele idonee per evitare che i 4 cani procurassero danni a terzi.
In Cassazione la proprietaria mette in dubbio che siano stati i suoi cani ad aggredire il passante
In punto di nesso causale, fermo restando che non è certo che l’aggressione fosse stata effettuata dai cani della donna, secondo la tesi difensiva la condotta di cui si discute ha integrato un fattore sopravvenuto che ha comportato un rischio nuovo e dei tutto incongruo rispetto al rischio originario prevedibile dal proprietario, e per far fronte al quale l’imputato aveva certamente adottato tutte le cautele di isolamento dell’abitazione idonee ad evitare e prevenire le possibili fuoriuscite dei cani.
Il ricorrente lamenta anche che, senza alcuna prova e/o ricostruzione ambientale, la Corte afferma che l’abitazione della teste (dinanzi alla quale sono stati visti i cani nella fascia oraria 18/18,30) sarebbe nella stessa “zona” in cui è avvenuta l’aggressione, laddove trattasi di luoghi diversi e distanti, atteso che l’abitazione della teste è ubicata nel centro abitato della frazione di Paganica (AQ) ed è vicina all’abitazione dei cani, mentre la strada interpoderale, che costeggia il fiume Vera, in cui è avvenuta l’aggressione, è più a valle a una distanza importante e rilevante.
Ebbene, l’errore di diritto in cui è incorsa la Corte di Appello, da una parte, è l’aver ritenuto il rapporto di prova della veterinaria, dall’altra parte, è l’aver omesso di considerare e motivare circa il fatto che proprio quelle analisi depongono in favore dell’estraneità dei cani dell’imputato rispetto all’aggressione in danno della vittima.
Nessun errore dei giudici di Appello
Tutte le argomentazioni sopra descritte tendono a sollecitare una rivalutazione del fatto non consentita in questa sede di legittimità. Ripropongono le medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito.
Invece, le argomentazioni del provvedimento di secondo grado sono puntuali, coerenti, prive di illogicità e idonee a fare comprendere le ragioni dei Giudici.
Conclusivamente, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.
Avv. Emanuela Foligno