Cani randagi aggrediscono un gregge: è responsabile il Comune? (Cassazione civile, sez. III, 28/07/2022, n.23585).

Cani randagi aggrediscono un gregge di ovini uccidendo quattrordici animali.

Il danneggiato, ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Lecce, che – accogliendo il gravame esperito dal Comune di Campi Salentina, avverso la sentenza del Tribunale di Lecce – rigettava la domanda di risarcimento danni, proposta nei confronti del predetto Comune, in relazione all’aggressione perpetrata al proprio gregge di ovini, con l’uccisione di quattordici animali, da parte di cani randagi.

Il ricorrente citava in giudizio il Comune onde vederne accertata la responsabilità per il mancato controllo del fenomeno del randagismo, al fine di conseguire il ristoro dei danni materiali subiti.

Accolta dal primo Giudice la domanda risarcitoria, con condanna del Comune a pagare la somma di 6.248,60, il Giudice di Appello, invece, riformava la pronuncia, accogliendo entrambi i motivi di gravame proposti dal Comune soccombente.

Infatti, affermava la Corte, in primo luogo, il difetto di legittimazione passiva del Comune, poiché la legislazione regionale pugliese pone a carico dei servizi veterinari delle A.S.L. l’obbligo di recupero e cattura dei cani randagi, affidando ai Comuni solo la loro accoglienza in canili, soggetti a gestione municipale.

In secondo luogo, si statuiva l’assenza di prova -che si assumeva persino non dedotta dall’attrice – “circa asseriti contegni omissivi del Comune in ordine a condotte giuridicamente doverose ed esigibili”, e ciò sul presupposto che la fattispecie della responsabilità per danni causati da cani randagi debba inquadrarsi nella previsione di cui all’art. 2043, e non dell’art. 2052 c.c..

Il danneggiato ricorre in Cassazione e censura la sentenza per aver erroneamente ritenuto che fosse stata contestata la responsabilità del Comune per mancata prevenzione del fenomeno del randagismo e non, invece, per omesso controllo dello stesso.

Ed ancora, il ricorrente deduce che la Corte d’Appello – sebbene affermi che la domanda risarcitoria andasse proposta nei confronti della A.S.L., quale responsabile dei servizi veterinari preposti al recupero e alla cattura dei cani randagi – non ha disposto la condanna della stessa, ancorché ricorresse un’ipotesi di estensione automatica della domanda.

Difatti, avendo il Comune di Campi Salentina eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, con conseguente richiesta di chiamata in causa della A.S.L. (e della Regione), quella assunta nei confronti della stessa, ex art. 106 c.p.c., era un’istanza di chiamata in causa del terzo responsabile, che comporta l’estensione automatica della domanda attorea verso il terzo chiamato.

Con il terzo e ultimo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma non fornita la prova “circa contegni omissivi dell’appellante (e delle altre Pubbliche Amministrazioni parti del giudizio) in ordine a condotte giuridicamente doverose ed esigibili”, essendo, in astratto, configurabille  un’ipotesi di responsabilità ex art. 2043 c.c.

Dei tre motivi, è il secondo che viene scrutinato con precedenza, involgendo una questione di carattere logicamente pregiudiziale rispetto a quelle oggetto degli altri motivi. Esso censura, infatti, la sentenza impugnata per aver riconosciuto il difetto di legittimazione passiva del Comune di Campi Salentina, ritenendo, invece, legittimata l’A.S.L. Lecce (chiamata in causa dal Comune), giacché a tale statuizione la Corte territoriale avrebbe dovuto far seguire -secondo la ricorrente – l’affermazione di responsabilità della A.S.L., e ciò in base al principio dell’estensione automatica della domanda.

Il motivo è inammissibile.

Il Comune di Campi Salentina, nell’eccepire il proprio difetto di legittimazione e chiamando in causa la A.S.L. su tale presupposto, ha operato, nei riguardi della stessa, la c.d. “laudatio actoris”, ovvero la chiamata in causa del terzo responsabile, ciò che ha determinato l’estensione automatica, nei riguardi della terza chiamata, della domanda attorea.

Tuttavia, la sentenza impugnata, nel rigettare la domanda risarcitoria del danneggiato ha addotto il difetto di legittimazione  e l’assenza di prova, che si assume persino non dedotta dall’attrice.

Siffatta affermazione resa dal Giudice di appello – che richiama principi di legittimità già granitici , ovvero che la responsabilità per i danni causati da cani randagi, e altri animali randagi, essendo disciplinata dall’art. 2043 (e non dall’art. 2052) c.c., “presuppone l’allegazione e la prova, da parte del danneggiato, di una concreta condotta colposa ascrivibile all’ente e della riconducibilità dell’evento dannoso, in base ai principi sulla causalità omissiva, al mancato adempimento di una condotta obbligatoria in concreto esigibile, mentre non può essere affermata in virtù della sola individuazione dell’ente al quale è affidato il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo, ovvero quello di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi”.

Conseguentemente, viene dato seguito al principio secondo cui, “qualora la decisione di merito si basi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitivrità delle altre, alla cassazione della decisione stessa”.

Per tali ragioni, il ricorso principale del danneggiato viene integralmente rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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