A seguito dell’impatto con uno dei cani randagi in circolazione, il ricorrente riportava danni fisici personali oltre che alla propria autovettura, dei quali chiedeva il risarcimento

L’azione veniva inizialmente proposta contro l’ente provinciale, che opportunamente eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva; cosicché l’attore veniva autorizzato a chiamare in causa il Comune. Il Giudice di Pace dinanzi al quale il giudizio era stato instaurato, aveva rigettato la domanda attorea, ritenendo che il Comune convenuto ai sensi dell’art. 2043 c.c., dovesse considerarsi esente da responsabilità avendo provato di avere assolto l’obbligo di vigilanza sui cani randagi.

La questione giunse così, ben presto dinanzi ai giudici della Suprema Corte di Cassazione.

Il randagismo della giurisprudenza di legittimità

La giurisprudenza di legittimità, si è più volte, pronunciata sul tema, affermando che è onere del danneggiante individuare non in astratto, bensì in concreto, il comportamento colposo ascritto all’amministrazione comunale.

Non basta, infatti, che la normativa regionale individui nel Comune il soggetto (o meglio: uno dei soggetti) avente(i) il compito di controllo e di gestione del fenomeno del randagismo e neanche quello più specifico di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi (tra le più recenti cfr. Cass. 28/06/2018, n. 17060; Cass. 14/05/2018, n. 11591; Cass. 31/07/2017, n. 18954), occorrendo che chi si assume danneggiato, in base alle regole generali, alleghi e dimostri il contenuto della condotta obbligatoria esigibile dall’ente e la riconducibilità dell’evento dannoso al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria, in base ai principi sulla causalità omissiva.

A tal proposito, l’applicabilità dell’art. 2043 c.c., – come richiesta dal ricorrente – in luogo di quella di cui all’art. 2052 c.c. [quest’ultimo ritenuto invocabile nelle ipotesi in cui ricorre non tanto la proprietà (tant’è che in essa incorre anche il semplice utente) quanto il potere/dovere di custodia, ossia la concreta possibilità di vigilanza e controllo del comportamento degli animali (Cass. 25/11/2005, n. 24895)], è possibile soltanto in quanto, si provi la responsabilità sotto il profilo del concreto comportamento colposo ad esso ascrivibile e cioè che gli siano imputabili condotte, a seconda dei casi, genericamente o specificamente colpose che abbiano reso possibile il verificarsi dell’evento dannoso.

Entro questo perimetro va verificato, poi, il tipo di comportamento esigibile di volta in volta e in concreto dall’ente preposto dalla legge al controllo e alla gestione del fenomeno del randagismo, sì da dedurne la eventuale responsabilità sulla base dello scarto tra la condotta concreta e la condotta esigibile; quest’ultima individuata secondo i criteri della prevedibilità e della evitabilità e della mancata adozione di tutte le precauzioni idonee a mantenere entro l’alea normale il rischio connaturato al fenomeno del randagismo.

Se quanto affermato è vero, è altresì innegabile la prevedibilità dell’attraversamento della strada da parte di un animale randagio, trattandosi di un evento puramente naturale; tuttavia, per affermare l’esistenza di un obbligo in capo all’ente comunale di impedirne il verificarsi dell’evento è necessario che esso non solo sia prevedibile, ma occorre anche che esso sia evitabile in quel determinato momento ed in quella particolare situazione con uno sforzo proporzionato alle capacità dell’agente.

L’onere della prova

Ne deriva che è onere di colui che agisce facendo valere la responsabilità omissiva altrui, quello di dimostrare o almeno di allegare la ricorrenza di una colpa non solo specifica – violazione del precetto – ma anche generica, in quanto postulante l’indagine circa le modalità concrete della condotta attraverso i criteri di prevedibilità ed evitabilità. 

Non a caso, nella vicenda in esame, i giudici di merito, avevano ritenuto che per affermare la responsabilità dell’ente preposto sia necessaria la prova della esigibilità di uno specifico comportamento attivo idoneo, ove opportunamente adottato, ad evitare l’evento.

Si è detto, esemplificando che il danneggiato avrebbe dovuto provare che era stata segnalata al comune la presenza abituale di animali randagi nel luogo dell’incidente, lontano dalle vie cittadine, ma rientrante nel territorio di competenza dell’ente preposto, ovvero che vi fossero state nella zona richieste d’intervento dei servizi di cattura e di ricovero, demandati alla ASL e al Comune, rimaste inevase.

Diversamente opinando, la responsabilità dell’ente comunale in materia di randagismo, finirebbe per diventare una forma di responsabilità oggettiva da custodia di cui agli artt. 2051, 2052 e 2053 c.c.

 

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