Per le Sezioni Unite della Cassazione non sono riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale le attività di coltivazione di minime dimensioni di cannabis svolte in forma domestica

La coltivazione di cannabis in casa, in minime quantità, non costituirà più reato. Lo hanno stabilito le Sezioni unite penali della Corte di Cassazione con una sentenza dello scorso 19 dicembre. Al momento è stata resa nota un’informazione provvisoria (n. 27/2019) della pronuncia, mentre il dispositivo è ancora in fase di pubblicazione. I Giudici erano stati chiamati ad esprimersi su un caso di coltivazione di 2 piante di marijuana (una alta 1 metro con 18 rami, l’altra alta 1,15 metri con 20 rami).

Per gli Ermellini, “il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.

Da tale principio, quindi, emergono dei paletti ben precisi.

La mancata applicazione della norma penale, riassumendo, riguarda le attività di coltivazione “di minime dimensioni svolte in forma domestica”. Inoltre, il reato è escluso laddove ” le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante e il modesto quantitativo di prodotto ricavabile” appaiano destinate “in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”. Non sono dunque ammessi fertilizzanti e impianti di irrigazione su terrazzi e balconi. Il consumo delle piantine, poi, è riservato al solo “coltivatore” diretto, con esclusione di eventuali conviventi e gruppi di amici.

Viene quindi sostenuta la tesi per cui il bene giuridico della salute pubblica non viene in alcun modo pregiudicato o messo in pericolo dal singolo assuntore di marijuana che decide di coltivarsi per sé qualche piantina.

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