Secondo l’indagine di Medici per i Diritti Umani, le reazioni psichiche non sono sullo stesso piano delle complicanze cliniche e le conseguenze psicologiche al trauma hanno dunque influito sul decorso evolutivo che ha condotto alla morte di Stefano Cucchi.

Presentato venerdì 16 ottobre in Senato un nuovo dossier sulla morte di Stefano Cucchi, il giovane 31 enne arrestato per detenzione di stupefacenti il 16 ottobre 2009 e morto nel reparto carcerario dell’ospedale Sandro Pertini di Roma il 22 ottobre  2009 per lesioni. Due processi conclusi con l’assoluzione di tutti gli imputati, fra cui medici e militari. Un nuovo processo di fronte  a un’altra sezione della Corte d’Appello di Roma è previsto a gennaio 2016 per una serie di vizi che la Corte di Cassazione ha riconosciuto nella sentenza di assoluzione. Del caso Stefano Cucchi si sono occupati due medici di MEDU  (Medici per i Diritti Umani), che hanno deciso di occuparsi di un caso tutto italiano di violenza carceraria.

Alberto Barbieri, chirurgo d’urgenza alla guida di MEDU e Massimiliano Aragona, docente di psicopatologia fenomenologica all’Università La Sapienza di Roma, hanno lavorato nove mesi sul dossier di Stefano Cucchi concentrandosi sul quadro psichico del paziente e sulla relazione causale con la morte, aspetto trascurato dai due precedenti processi. Senza ombra di dubbio, secondo l’indagine indipendente presentata, ad  uccidere il ragazzo è stato lo shock post traumatico. Secondo questo studio le reazioni psichiche non sono sullo stesso piano delle complicanze cliniche e le conseguenze psicologiche al trauma hanno dunque influito sul decorso evolutivo che ha condotto al decesso di Stefano Cucchi. In base a questa indagine quindi, nella ricostruzione dei fatti sarebbe centrale il trauma psichico successivo all’aggressione dopo l’arresto.

Le perizie medico-legali disposte dalla III Corte d’Assise di Roma per il processo di primo grado, parlano di tre lesioni importanti: al capo – in regione frontale sinistra e parietotemporale destra – e in regione sacrale. Non sono però state prese accuratamente in esame, secondo la relazione di MEDU, le componenti psicologiche. «In sei giorni – si legge dal rapporto – si è compiuta la demolizione di un essere umano mentre questi era affidato alla responsabilità degli organi dello Stato». Anche il significativo dimagrimento di Stefano Cucchi durante la settimana che va dall’arresto alla morte – è passato da 52 a 37 chili – sono attribuibili allo shock. Dal documento presentato si legge infatti che «la causa essenziale della grave riduzione dell’apporto alimentare da parte di Cucchi non sia stata la protesta del giovane nei confronti del cibo, ma un’importante perdita di appetito secondaria al trauma e parte integrante della reazione postraumatica. Le ragioni di questa diminuzione di appetito associata a un’altrettanto grave riduzione dell’introito di liquidi sono sia psicologiche sia somatiche, ed entrambe fanno parte del quadro tipico delle reazioni postraumatiche».

La ricostruzione dei fatti tiene alla base la sofferenza psichica  nell’evoluzione patogena che ha provocato la morte di Stefano Cucchi. «Sono le spine nel cuore, le ferite invisibili», così le ha definite Alberto Barbieri. Nella sua ricostruzione Alberto Barbieri di MEDU e Massimiliano Aragona hanno ascoltato la famiglia Cucchi, studiato le diverse perizie mediche e sentito gli operatori della comunità Ceis che hanno seguito il ragazzo nel corso della sua tossicodipendenza. Infatti, è emerso che il ragazzo faceva uso di cannabinoidi dall’età di 12 anni e in seguito cocaina ed eroina. Quello di Stefano Cucchi è solo un caso emblematico della problematicità del sistema penale italiano. Secondo i dati forniti da «Osservatorio Ristretti Orizzonti» nei primi sei mesi del 2015 sono 57 i detenuti morti, 24 dei quali sono suicidi. Nel 2014 i decessi sono stati 132, di cui 44 suicidi.

Numeri che rivelano un vuoto legislativo riguardo agli atti di violenza che si consumano in luoghi ove un individuo è affidato «alla responsabilità degli organi di Stato». Come ha osservato Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato: «nel corso di una lunghissima settimana, Cucchi ha conosciuto e attraversato dodici diversi luoghi, corrispondenti ad altrettanti istituti e strutture statuali, due caserme dei carabinieri, celle di sicurezza e aula di un tribunale, infermerie e stanze di pronto soccorso, prigione e reparto detentivo». Oggi, dopo due processi, ancora non esistono responsabili oggettivi per la morte di Stefano Cucchi.

a cura di Laura Fedel

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