La possibilità di utilizzo legittimo dei dati personali di utenti iscritti negli elenchi, pur senza preventivo consenso, è ammessa solo in quanto gli elenchi siano pubblici e nelle ipotesi di marketing diretto con operatore

Corte di Cassazione – Sezione I Civile, Sentenza 15 gennaio – 4 febbraio 2016, n. 2196.

Stop alle chiamate “mute” a scopi pubblicitari. A dirlo è la I Sezione Civile della Cassazione con una recentissima sentenza.
A seguito di accertamento ispettivo avviato nei confronti di una società di telecomunicazioni, teso a verificare l’osservanza delle norme in materia di protezione dei dati personali rispetto all’attività di marketing effettuata mediante autonomi soggetti (c.d. teleseller) e previo utilizzo di piattaforma informatica, il Garante per la privacy, prescriveva ai sensi degli artt. 143, 1° comma,lett. b) e154, 1° comma, lett. c), del Codice in materia di protezione dei dati personali, l’adozione di tutte le misure, anche di carattere tecnico, atte a garantire che fosse impedita la reiterazione di chiamate su contatto abbattuto (c.d. chiamate “mute”), escludendo la possibilità di richiamare la specifica utenza per un intervallo di tempo pari almeno a trenta giorni.

All’esito del giudizio di primo grado, il tribunale condannava la società di telecomunicazione, ritenendo provato il fenomeno dei numerosi reclami depositati presso il Garante da utenti che lamentavano la ricezione di telefonate “mute” da numeri, poi risultati riconducibili alla società emittente il servizio, reputando quindi, l’illiceità del sistema di teleselling. “Il procedimento, che aveva condotto alla telefonata “muta”, aveva a sua volta, integrato un trattamento di dati personali contrario al canone di correttezza indicato nell’art. 11 del cod. della privacy, atteso che i destinatari avevano visto utilizzati i propri dati per telefonate non valevoli a proporre alcun contratto ma solo a creare allarme circa la provenienza”.

La ragione è che il trattamento dei dati personali era avvenuto con sistemi automatici di chiamata, e il codice della privacy consente (artt. 129 e 130) simile trattamento solo con il consenso dell’interessato.

Sul punto, la società chiamata in giudizio, obiettava che il consenso di cui si tratta, in base al comma 3-bis dell’art. 130, non è richiesto per chi è iscritto negli elenchi degli abbonati ai servizi di telefonia e non abbia esercitato il diritto di opposizione con modalità semplificate e anche in via telematica, mediante iscrizione della relativa numerazione nell’apposito registro pubblico delle opposizioni (cd. opt-out).

L’assunto, non convince però la Cassazione che, tutt’al contrario, rigetta il ricorso, dichiarandolo infondato.
Secondo i giudici supremi, all’utente non può arrivare più di una telefonata al mese di questo tipo.

Il sistema che consiste nel programmare in anticipo le chiamate, per ottimizzare il successo di quelle che vengono trasmesse agli addetti del call center, porta tuttavia nel concreto, a far squillare inutilmente il telefono dell’utente, “facendo ricadere il rischio e il disagio delle chiamata muta sui soli destinatari”. Tale sistema, non rientra “nei canoni della correttezza, pertinenza e non eccedenza rispetto alle finalità del loro utilizzo”, con cui vanno gestiti i dati personali ai sensi degli artt. 4 e 11 del Codice della Privacy. (cfr. SS.UU. n. 3033/2011).

Il cuore della vicenda ruota, dunque, attorno al corretto uso degli elenchi degli abbonati da parte delle società di telecomunicazione.

La possibilità di utilizzo legittimo dei dati personali di utenti iscritti negli elenchi, pur senza preventivo consenso, è ammessa solo in quanto gli elenchi siano pubblici e nelle ipotesi di marketing diretto con operatore. Ciò che, invece, non accade per il caso della telefonia mobile, o comunque dell’uso di sistemi automatizzati di chiamata e di comunicazione senza intervento di un operatore (dispositivi automatici di chiamata), telefax o posta elettronica. In tali casi il contatto a fini di commercializzazione diretta è consentito soltanto nei confronti degli abbonati o degli utenti che abbiano espresso preliminarmente il loro consenso. In particolare, allorché una persona fisica o giuridica ottiene dai suoi clienti le coordinate elettroniche per la posta elettronica nel contesto della vendita di un prodotto o servizio ai sensi della direttiva 95/46-CE, la medesima persona fisica o giuridica può utilizzare tali coordinate elettroniche a scopi di commercializzazione diretta di propri analoghi prodotti o servizi, a condizione che ai clienti sia offerta in modo chiaro e distinto la possibilità di opporsi, gratuitamente e in maniera agevole, all’uso di tali coordinate elettroniche al momento della raccolta delle coordinate e in occasione di ogni messaggio, qualora il cliente non abbia rifiutato inizialmente tale uso.

Avv. Sabrina Caporale

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