Cataratta bilaterale e impianto di cristallini difettosi (Corte Appello Bari, Sez. III, sentenza n. 23/2023, pubbl. 12/01/2023)

Cataratta bilaterale eseguita in maniera non corretta e criterio della domanda generica.

L’appellante censura la omessa statuizione sulla domanda di accertamento della responsabilità ed errata valutazione in ordine al criterio della domanda generica, in quanto il primo Giudice avrebbe dovuto comunque pronunciarsi sull’accertamento della responsabilità della Struttura essendo emerso dalla CTU che i cristallini impiantati appartenevano a lotti difettosi.

La Corte ritiene il gravame fondato in quanto il primo Giudice non si è pronunciato sull’accertamento della responsabilità della Struttura richiesta dall’attore.

La prima CTU ha accertato che le lenti impiantate al paziente presentavano un difetto di costruzione che causava la loro perdita di trasparenza nel tempo. In particolare “L’espianto di un cristallino artificiale a distanza di 8-9 anni può condurre a gravi complicanze, così come a rischio è l’impianto di un nuovo cristallino a sospensione sclerale”.

Secondo il primo Consulente” le complicanze insorte nell’occhio destro rientrano tra gli effetti indesiderati degli interventi ad alto rischio; nell’occhio sinistro il distacco di retina verificatosi nel 2003 non era stato causato dall’impianto del cristallino difettato, ma rientrava nelle comuni complicanze degli interventi di facoemulsificazione della cataratta…..il danno biologico di entrambi gli occhi è quantificabile al 65%”.

La CTU disposta dalla Corte di Appello è pervenuta alle seguenti conclusioni “La causa della perdita del visus è da attribuirsi per l’occhio sx a eventi non rapportabili all’utilizzo di lentine intraoculari difettate, bensì a naturali complicanze di intervento di cataratta; la perdita del visus all’occhio dx è da rapportare a complicanze derivanti dall’intervento resosi necessario per rimediare a quanto determinatosi dall’utilizzo di lentine difettate. Considerata la perdita del visus in OD rapportabile all’utilizzo di prodotto difettoso e considerato il dato che successivamente all’iniziale intervento di cataratta del gennaio 2001 il ricorrente possedeva (visus 10/10), può ritenersi equo riconoscere un danno imputabile pari al 25%. Tale deficit, tuttavia, in combinazione con quello in OS, derivante da altre cause, ha determinato la perdita dell’autonomia del paziente, nonché uno stato depressivo reattivo”.

La Corte di Appello ritiene esclusa la responsabilità della ASL convenuta.

Nell’ambito del rapporto contrattuale tra la ASL e il paziente, indubbiamente sono stati utilizzati dei cristallini difettosi che hanno determinato le problematiche all’occhio dx del paziente che ha dovuto sottoporsi a ulteriore intervento per l’asportazione e impianto nuovo.

Tuttavia l’inidoneità dei cristallini artificiali non era nota al momento dell’esecuzione degli interventi (dicembre 2000 e gennaio 2001). Difatti, sono nel settembre 2003 la Società Italiana Oftalmologi notiziava dei problemi relativi all’impianto dei presidi sanitari in parola.

Sul punto il CTU ha chiarito che “anche ove l’ASL avesse provveduto alla precoce rimozione dei cristallini nel 2003, quando era già evidente l’iniziale opacizzazione e si era a conoscenza del difetto di fabbricazione, non sarebbe possibile accertare se e di che entità sarebbero stati eventuali danni”.

Pertanto, l’unico rimprovero che potrebbe essere mosso alla ASL potrebbe essere quello di non avere provveduto dal settembre 2003 a richiamare i paziente e a provvedere in precauzionale autotutela alla sostituzione dei cristallini.

Tuttavia, come chiarito dal secondo CTU, “non è possibile affermare se una precoce sostituzione avrebbe potuto evitare la perdita del visus, nessuna responsabilità può essere ascritta alla ASL in base al ragionamento controfattuale secondo il principio civilistico del più probabile che non”.

Ciò posto, la Corte passa al vaglio la domanda svolta nei confronti della Società distributrice dei cristallini difettosi e nei confronti della Società produttrice e afferma la responsabilità di quest’ultima che viene condannata al pagamento della somma di euro 64.961,00 a favore degli eredi del paziente.

Avv. Emanuela Foligno

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