Tamponamento al semaforo e presunzione di pari responsabilità (Cassazione civile, sez. VI, 15/12/2022, n.36726).

Tamponamento al semaforo e applicazione della presunzione di pari responsabilità dei mezzi coinvolti.

Il danneggiato, mentre si trovava in posizione di fermo al semaforo, viene tamponato da un’automobile riportando lesioni personali e dunque citava dinanzi al Tribunale di Roma l’Assicurazione e il proprietario-conducente del veicolo responsabile chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in seguito al tamponamento suddetto verificatosi il 25 maggio 2007.

Il Tribunale di Roma applicava la presunzione di pari responsabilità e condannava le parti convenute a pagare al danneggiato la somma di euro 24.848,00. Il danneggiato impugna la decisione e la Corte di Appello di Roma confermava la decisione del Tribunale sulla base dei seguenti rilievi:

-in primo luogo, doveva essere dichiarato non utilizzabile, in funzione probatoria, il documento indicato come verbale di mediazione e relativi allegati depositato dall’appellante il giorno dell’udienza fissata per le conclusioni, in quanto tardivo;

– corretta e condivisibile appariva la decisione del primo Giudice nella parte in cui aveva reputato non attendibile il testimone escusso nel corso del giudizio e l’insufficienza delle fotografie prodotte per suffragare l’ipotesi del tamponamento al semaforo;

– la denuncia di sinistro inoltrata alla Compagnia assicurativa non indicava la presenza di un testimone che assisteva al tamponamento e dunque non vi erano elementi per superare la presunzione di cui all’art. 2054 c.c., comma 2.

L’uomo asseritamente tamponato ricorre in Cassazione. Deduce che la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere non utilizzabile il verbale di mediazione e relativi allegati depositato, poiché la produzione in giudizio non era avvenuta tardivamente, bensì tempestivamente, al più in sede di prima udienza, dandosene atto nel relativo verbale. Ergo, sulla base di questo errore, la Corte territoriale non aveva potuto considerare né le risultanze della consulenza tecnica modale espletata durante la procedura di mediazione, né la documentazione sanitaria ad essa allegata.

La Suprema Corte ritiene la censura inammissibile. Le doglianze del ricorrente, difatti, si risolvono in una critica generica della sentenza, ponendo sotto un unico motivo una molteplicità di profili tra loro confusi.

Viene ricordato che il giudizio di Cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito.

Nella memoria depositata in vista dell’adunanza camerale, il ricorrente ha precisato che il vizio specifico che si intendeva denunciare con il ricorso è quello di omesso esame di fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Tuttavia, a questa precisazione non viene attribuita efficacia ai fini della sanatoria dell’originario difetto di specificità e tassatività dei motivi di ricorso, atteso che la funzione meramente illustrativa della memoria impedisce che la stessa possa integrare le carenze del ricorso in ordine alle censure formulate avverso la sentenza impugnata (Cass. 07/04/2005, n. 7260; Cass. 18/12/2014, n. 26670; Cass. 27/08/2020, n. 17893).

Inoltre, nella parte in cui viene censurata la non utilizzabilità del verbale di mediazione e relativi allegati, si formula una censura carente del necessario requisito di specificità.

Sussiste, quindi, violazione dell’onere di specifica indicazione di un atto processuale su cui è fondato il motivo di ricorso per cassazione.

In definitiva, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Avv. Emanuela Foligno

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