Responsabilità sanitaria e novità introdotte della riforma Cartabia
Dopo l’entrata in vigore della riforma Cartabia, l’art. 8, comma 3, della Legge Gelli-Bianco dispone: “Ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio, è depositato, presso il giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1, il ricorso di cui all’articolo 281-undecies del codice di procedura civile. In tal caso, il giudice fissa l’udienza di comparizione delle parti e procede con le forme del rito semplificato di cognizione a norma degli articoli 281-decies e seguenti del codice di procedura civile”.
Sono sorte incertezze, seguenti la citata riforma, nella parte in cui ha sostituito il riferimento al procedimento sommario di cognizione con il rito semplificato di cui agli artt. 281-decies ss. c.p.c., soprattutto in conseguenza di una previsione non del tutto chiara riguardo alla sua entrata in vigore.
Come noto la Legge Gelli, ha introdotto all’art. 8 un’alternativa alla mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010, tramite l’esperimento (sempre obbligatorio) del tentativo di conciliazione nell’ambito di ATP ex art. 696-bis c.p.c. Tuttavia, la disciplina applicabile in caso di mancato buon fine del tentativo obbligatorio, si presenta complessa e rischia di aggravare il danneggiato. Infatti, vi sono due termini collegati: uno perentorio di 6 mesi dal deposito del ricorso ex art. 696-bis c.p.c., per la conclusione del procedimento, e l’altro consecutivo di 90 giorni dal deposito della relazione, o dalla scadenza del termine perentorio, per intraprendere il giudizio di merito, che deve essere effettuato (come stabilito dalla riforma Cartabia), nelle forme del rito semplificato, essendo stato abrogato il procedimento sommario ex art. 702 c.p.c.
Il secondo termine di 90 giorni, menzionato, è rilevante perché determina quando “gli effetti della domanda sono salvi”, sempre facendo riferimento alle due diverse ipotesi: in alternativa al deposito della consulenza, o alla scadenza del termine perentorio semestrale.
Anche l’aspetto linguistico non aiuta poiché la locuzione “domanda” viene riferita a 2 nozioni differenti: (i) la prima volta, alla richiesta di tutela nel merito (poichè viene prescritta la sua procedibilità per l’infruttuoso esperimento del tentativo di conciliazione, o per sopravvenuti limiti di tempo nella ricerca di un accordo conciliativo); (ii) la seconda, al permanere degli effetti che la legge riconduce già al deposito del ricorso ex art. 696-bis c.p.c. Quindi vi sono due diverse domande introduttive, di due autonomi procedimenti; ove la seconda è quella più importante. Ma la lettera della legge potrebbe trarre in inganno l’interprete, perché fa sembrare che la domanda giudiziale abbia la funzione di determinare la salvezza degli effetti della prima, già proposta ante causam.
La dottrina prevalente ritiene che la proposizione tempestiva della domanda di merito consenta di mantenere gli effetti sostanziali e processuali del ricorso ex art. 696 bis c.p.c., che sono estesi ai principali effetti della domanda giudiziale: (litispendenza, continenza, perpetuatio iurisdictionis, ecc. ecc.).
La Legge Gelli non contempla l’eventualità del tentativo di conciliazione nel procedimento di accertamento tecnico preventivo, pur dopo il decorso del termine di 6 mesi. Quindi vi è da chiedersi cosa accade se il danneggiato vuole attendere la conclusione del procedimento con il deposito della relazione del CTU, quando ciò avviene dopo i complessivi 270 giorni (sei mesi e 90 giorni) dal deposito del ricorso ex art. 696-bis c.p.c.
Gli interpreti hanno da subito escluso che il decorso termine semestrale, pur se perentorio, escluda l’ulteriore prosecuzione del procedimento e la sua conclusione. Il riferimento al deposito della C.T.U., quale dies a quo per il decorso del termine di 90 giorni, viene posto in alternativa alla scadenza del periodo semestrale.
Una interpretazione costituzionalmente orientata riconduce al rispetto del termine di 90 giorni un rilievo esclusivamente riguardo alla conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda introdotta con il ricorso ex art. 696-bis c.p.c., non includendo tra questi anche la procedibilità della domanda di merito, avendo l’attore già soddisfatto una volta per tutte la relativa condizione.
Se ne deduce, pertanto, che l’istaurazione del giudizio di merito decorsi i 90 gg. non richiede un nuovo del tentativo di conciliazione.
Ciò detto, si pone il problema di stabilire se i procedimenti di ATP pendenti al 28 febbraio 2023 debbano essere seguiti dall’istaurazione del giudizio di merito nelle forme del procedimento semplificato (cioè secondo la riforma Cartabia), oppure se in queste ipotesi risulti applicabile ratione temporis la precedente formulazione e, quindi, le forme del procedimento sommario, com’è previsto nella configurazione originaria della norma in discorso. Ebbene, in tale caso, le norme applicabili al processo di cognizione, devono seguire la regola giuridica vigente al momento di proposizione della domanda.
Avv. Emanuela Foligno
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