Caduta dovuta al dislivello dell’area calpestabile (Cassazione civile, sez. III, 19/12/2022, n.37059).

Caduta dovuta al dislivello dell’area calpestabile del marciapiede.

Il danneggiato conveniva in giudizio il Supercondominio e la società amministratrice dello stesso, per sentirli condannare al risarcimento dei danni conseguenti alle lesioni che aveva riportato, quando, scendendo dal marciapiede posto in corrispondenza del condominio era inciampato in una buca posta a ridosso del cordolo cadendo a terra.

Il Tribunale di Milano accoglieva la domanda per l’importo di oltre 41.000,00 Euro e accessori. Successivamente, la Corte di Appello riformava la sentenza rigettando la domanda dell’attore condannandolo al pagamento delle spese di lite e alla restituzione di quanto riscosso in forza della sentenza di primo grado.

La Corte di Appello ha osservato che: “la prova della caduta nelle circostanze dedotte da parte appellata e cioè l’avvenuto appoggio del piede in area dissestata, posta in prossimità del marciapiedi, e della conseguente caduta dovuta al dislivello che causava la perdita di equilibrio, non costituisce elemento di per sé sufficiente all’accoglimento della domanda risarcitoria….[..].. il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l’onere di provare il caso fortuito, ossia l’esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale…[…].. nei casi in cui il danno non sia l’effetto di un dinamismo interno alla cosa (…), ma richieda che l’agire umano ed in particolare quello del danneggiato si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sé statica e inerte, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile il danno”.

Nel concreto, non risulta che il sinistro si sia verificato a causa di una situazione di obiettiva pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile il danno. Difatti il dislivello non era occulto ed anzi ben visibile ed era posto in prossimità della discesa del marciapiede e dunque in punto che, proprio a causa della presenza del gradino, richiede maggiore attenzione e cautela nella regolazione del passo.

Così ragionando la Corte ha concluso che “non si ritiene quindi che nel caso in esame sussistesse una situazione di obiettiva pericolosità, tale da rendere probabile se non inevitabile il danno e per contro devesi ritenere che il sinistro si sia verificato per una colpevole distrazione” dell’appellata”.

La vicenda approda in Cassazione

Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2051,1227 e 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.: assume che ad integrare la responsabilità ex art. 2051 c.c. “e’ necessario (e sufficiente) che il danno sia stato cagionato dalla cosa, assumendo rilevanza il solo dato oggettivo della derivazione causale del danno dalla cosa” e aggiunge che, mentre “incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno e dalle caratteristiche intrinseche della prima”, “resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità”.

Con il secondo motivo lamenta che la Corte di appello “ha omesso di esaminare l’intero contenuto della deposizione testimoniale resa da uno dei testi”, da cui emergeva che la buca era “posta in aderenza al marciapiede, per cui la stessa non era visibile “.

La Suprema Corte richiama i noti principi regolanti la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. e sottolinea che nel caso specifico della caduta del pedone in corrispondenza di una buca stradale, non può sostenersi che la stessa sia imprevedibile (rientrando nel notorio che la sconnessione possa determinare la caduta del passante) e imprevenibile (sussistendo, di norma, la possibilità di rimuovere il dislivello o, almeno, di segnalarlo adeguatamente); deve allora ritenersi che il mero rilievo di una condotta colposa del danneggiato non sia idoneo a interrompere il nesso causale, che è manifestamente insito nel fatto stesso che la caduta sia originata dalla (prevedibile e prevenibile) interazione fra la condizione pericolosa della cosa e l’agire umano.

Ad ogni modo la condotta del danneggiato può assumere rilevanza ai fini della liquidazione del danno ai sensi dell’art. 1227 c.c.

La Corte di Appello ha commesso plurimi errori di diritto che l’hanno condotta a prescindere del tutto dalla normativa applicabile – quella appunto di cui all’art. 2051 c.c. – che avrebbe comportato, una volta accertata la dinamica prospettata dal danneggiato, la necessità di verificare se il custode (ovverosia il condominio) avesse fornito la prova del fortuito.

La Corte di Appello di MIlano ha affermato che, “per la prova del nesso causale, occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile il danno”, per giungere poi ad escludere che il sinistro si sia verificato “a causa di una situazione di obiettiva pericolosità”, concludendo che il sinistro si era verificato per una “colpevole distrazione” della vittima.

Ciò significa che non è stata compiuto alcun accertamento sulla ricorrenza del caso fortuito, ma è stato solo valutato se il marciapiede in questione presentasse una situazione di pericolosità.

Invero, non rilevano la pericolosità della cosa e la correlata prevedibilità del danno, quanto piuttosto il fatto che la cosa abbia – in concreto – avuto incidenza causale nella produzione del danno, mentre i profili della non prevedibilità e non prevenibilità assumono rilevanza in relazione a un diverso elemento, ossia al fatto esterno (naturale o di un terzo o della stessa vittima) che il custode abbia individuato come caso fortuito, dovendosi peraltro escludere che il mero rilievo di una condotta colposa della vittima possa valere, se non connotato da imprevedibilità e inevitabilità, a integrare il fortuito (potendo al più rilevare ai fini dell’applicazione dell’art. 1227 c.c..

Per tale ragione il primo motivo di ricorso viene accolto, assorbiti gli altri motivi, e la decisione viene cassata con rinvio alla Corte di MIlano in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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