La Corte di Appello di Venezia ha confermato la responsabilità colposa dell’Istituto e dell’ASL n.1 per la morte del paziente, attribuendo il 20% di responsabilità al primo e l’80% al secondo per inadeguato trattamento post operatorio e omessa tempestiva rianimazione.
La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso perché, trattandosi di doppia conforme, non risulta dimostrata la divergenza significativa nei fatti tra le due decisioni di merito (Cassazione Civile, sez. III, 06/05/2024, n.1219).
I fatti
La paziente, in data 16 febbraio 2010, veniva sottoposta ad intervento di artroprotesi al ginocchio presso l’Istituto convenuto. Il giorno successivo si era verificato un improvviso aggravamento delle condizioni cliniche, con comparsa di insufficienza respiratoria, insufficienza cardio-vascolare e insufficienza neurologica. La paziente, in data 18 febbraio 2010, era trasferita presso altra Struttura di Belluno, ove era stata ricoverata dapprima nel reparto di rianimazione e, in data 22 febbraio 2010, trasferita presso il reparto di bronco-pneumologia. Qui le condizioni erano peggiorate progressivamente fino al decesso.
La vicenda giudiziaria
Il Tribunale accertava la responsabilità colposa concorrente dell’Istituto e della ASL n. 1 D nella causazione della morte della paziente, nella misura del 20% in capo al primo e dell’80% per la seconda. I giudici addebitano in particolare all’Istituto, quale condotta colposa, il non aver considerato un possibile aggravamento post-operatorio tale da richiedere l’intervento di rianimazione in apposito reparto, di cui era sfornito, e all’ASL n. 1 di non aver trasportato la paziente presso il reparto di terapia intensiva, una volta che si erano aggravate le sue condizioni.
Successivamente, con sentenza di data 22 dicembre 2020, la Corte d’Appello di Venezia accoglie parzialmente l’appello proposto dagli attori limitatamente al profilo delle spese processuali e rigetta gli altri due appelli dell’Istituto e dell’ASL.
In particolare i Giudici di Appello hanno osservato che l’omessa tempestiva rianimazione da parte del reparto di bronco-pneumologia dell’ospedale aveva costituito un antecedente eziologico che aveva concorso a determinare il decesso della donna. La paziente, infatti, benché in situazione clinica precaria, avrebbe potuto fin dalla mattina essere trasportata nel reparto di rianimazione per tentare di recuperare lo stato di scompenso e ristabilire una situazione di stabilità, ma era stata al contrario mantenuta nel reparto, senza particolari ausili respiratori, in uno stato di progressiva ingravescenza che aveva portato poi al decesso.
Hanno anche evidenziato che la CTU aveva affermato che la situazione della paziente, all’inizio della giornata, non era tale da poter affermare l’inutilità o la sproporzione di un approccio terapeutico di aiuto respiratorio in terapia intensiva, ma sarebbe stato anzi auspicabile, essendo comunque buone le possibilità di ripresa.
Il ricorso in Cassazione
L’ASL propone ricorso in Cassazione e osserva che la Corte territoriale avrebbe recepito acriticamente la CTU senza valutare le censure sollevate dalla ricorrente, ed in particolare dalla consulenza di parte, in base alle quali è stata richiesta anche la rinnovazione della consulenza e che lo stesso consulente di parte attrice aveva attribuito l’integrale responsabilità della morte della Me.Gi. all’Istituto.
Precisa, in particolare, che nelle osservazioni alla bozza di CTU, il consulente di parte ha evidenziato che la valutazione del rischio preoperatorio è stata gravemente omissiva. In particolare, ha evidenziato come non sia mai stata considerata la patologia prevalente della paziente e cioè la grave insufficienza respiratoria cronica e che le linee guida sottolineano come la presenza di scompenso cardiaco determini un elevato rischio cardiovascolare peri-operatorio, sottolineando altresì che l’anestesista dovrebbe tenere in considerazione tutti i fattori di rischio del singolo paziente, alla luce anche della letteratura medica circa l’attribuzione alla presenza di insufficienza respiratoria cronica e scompenso cardiaco cronico di un rilevante ruolo nell’incremento del rischio di mortalità postoperatoria.
Le critiche alla CTU
Aggiunge che, date le scadentissime condizioni di ingresso della paziente nel reparto di pneumologia, il mancato ricorso ad ulteriori trattamenti intensivi in occasione del peggioramento clinico del 27 febbraio 2010 non ha pertanto inciso in modo significativo sulla prognosi. Osserva ancora che il CTU, nel non tenere in adeguata considerazione gli argomenti del CTP della ricorrente, ha finito pure per incorrere in macroscopiche contraddizioni poi acriticamente trasfuse nella decisione della Corte d’Appello nel suo adeguarsi acriticamente alle risultanze della consulenza.
Aggiunge che il CTU, muovendo acriticamente dalla premessa che la consulenza cardiologica pre-operatoria del 15 febbraio 2010 aveva riferito di un discreto compenso emodinamico senza segni di lesioni ischemiche miocardiche, pur nel contesto di una nota broncopneumopatia cronico costruttiva, e che tali elementi diagnostici non ponevano controindicazioni assolute all’esecuzione dell’intervento, nulla ha replicato alle puntuali osservazioni del consulente di parte, in forza delle quali è stato dimostrato come già la classificazione della paziente c/o l’Istituto avrebbe dovuto essere non ASA 2 bensì ASA 4, sicché, partendo da tale (erronea) classificazione, ha giustificato l’effettuazione dell’intervento chirurgico, per poi però stigmatizzare apoditticamente la gestione clinica della paziente dalla dimissione dal reparto di rianimazione al ricovero nel reparto di pneumologia.
Le censure vengono considerate inammissibili
Gli Ermellini rimarcano, ancora una volta, che il Giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive.
Oltretutto, la stessa parte ricorrente, denunciando che “il CTU non avrebbe tenuto in adeguata considerazione gli argomenti del consulente di parte”, ammette invece che dal CTU vi è stata confutazione di tali argomenti, anche se si è trattato di confutazione inadeguata ed insufficiente.
Ad ogni modo, la parte ha inteso, inammissibilmente, confutare il giudizio di fatto espresso dalla Corte di Appello.
Avv. Emanuela Foligno