Risarcimento del danno non patrimoniale, focus sulla gravità della condotta.
Questo breve focus passa al vaglio i diversi modi in cui la gravità della condotta incide sulla individuazione delle fattispecie risarcibili e sulla quantificazione del risarcimento del danno non patrimoniale.
Come noto agli appassionati, e agli studiosi, della responsabilità civile, il punto di partenza è da rinvenirsi nell’art. 2059 c.c., come efficacemente chiarito dalle decisioni a Sezioni Unite dell’anno 2008.
Nella relazione del Guardasigilli all’art. 2059 c.c. viene affermato che la finalità compensativa del dolore subito, e l’assenza di parametri certi, giustificherebbe la correlata riparazione solo nel campo dei reati, rafforzando così lo “scopo afflittivo” a discapito del ristoro del soggetto danneggiato. Seguendo tale ragionamento, che in quel contesto storico risulterebbe anche adeguato, è stato dedotto che “più grave è la condotta di reato, maggiore è il pregiudizio morale” insinuando una presunzione che ha incoraggiato il compito di liquidazione di un danno confinato nella sfera dell’intimo dell’individuo.
La giurisprudenza prima dell’intervento delle Sezioni Unite del 2008
Prima dell’arresto delle SS.UU. del 2008 – ove, fra le altre, veniva castrato il celeberrimo danno esistenziale – le decisioni della Suprema Corte mutuavano direttamente i parametri della determinazione della pena, e in particolare l’intensità del dolo e il grado della colpa (art. 133, n. 3 c.p.), per la liquidazione del danno. “La liquidazione del danno non può che avvenire con criteri equitativi tenendo conto della gravità del reato e del patema d’animo subito dalla vittima” (così Cass. n. 14758/2000, ma vedasi anche Cass. 15103/2002). In tal modo veniva posto in rilievo sia il nesso causale tra gravità del reato ed entità del danno subito, sia la condotta della vittima stessa.
Specularmente, anche nel caso di danno all’integrità psicofisica si tiene conto della gravità dell’illecito penale, oltre che degli elementi della fattispecie concreta, con una debole apertura al criterio della determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno morale in una frazione dell’importo riconosciuto per il risarcimento del danno biologico (Cass. n. 10035/2004).
I cambiamenti con l’intervento delle Sezioni Unite del 2008
Ebbene, cosa è cambiato con l’intervento delle Sezioni Unite del 2008? È stata inserita la valutazione della “gravità della condotta” quale criterio di ammissibilità del risarcimento dei danni non patrimoniali. Le decisioni di San Martino del 2008 per la prima volta svolgono una lettura dell’art. 2059 c.c. più allineata, più omogenea, rispetto ai principi generali dell’art. 2043 c.c. che regolano l’illecito caratterizzato dalla ingiusta lesione di interessi tutelati dall’ordinamento. A partire da quella “apertura” il risarcimento del danno non patrimoniale non è più confinato ai casi tassativi previsti dalla legge, ma è riconosciuto anche ove l’illecito abbia violato diritti inviolabili della persona e interessi costituzionalmente protetti. In buona sostanza, anche se le condotte sono lesive di diritti fondamentali della persona ma non integrano gli estremi di reato, devono comunque essere risarcite perché a monte è stato comunque leso il diritto/interesse inviolabile.
La rilettura dell’art 2059 c.c.
Giustappunto si è parlato di “ri-lettura costituzionalmente orientata” dell’art. 2059 c.c. che valorizza diritti e interessi sanciti dalla Costituzione in quanto fonte sovraordinata rispetto alle norme codificate.
Traslando tale apertura giurisprudenziale ai casi di lesione all’integrità psicofisica, è del tutto indifferente che la “condotta” sia dolosa o colposa in quanto l’integrità psicofisica è disciplinata espressamente dalla Costituzione (art. 32) ed è inserita nell’alveo dei diritti fondamentali dell’individuo.
Nel corso degli anni a seguire è tornata più volte all’attenzione della Suprema Corte la duplice componente del danno all’integrità fisica: quella biologica (dinamico-relazionale), che emerge dall’accertamento medico-legale, e quella della sofferenza interiore (danno morale), e al contempo si è proceduto a riconoscere, e liquidare, anche la “personalizzazione del danno”.
L’Ordinanza decalogo
Nella “Ordinanza decalogo” (anch’essa celeberrima n. 7513/2018) è stato affermato che ”l’attribuzione di un’ulteriore somma per il risarcimento del pregiudizio che non ha fondamento medico legale (c.d. sofferenza interiore) non costituisce un’indebita duplicazione e che ai fini della relativa liquidazione è possibile fare ricorso al ragionamento probatorio di tipo presuntivo”. Le alterne vicende del riconoscimento/disconoscimento del danno morale degli ultimi quindici anni sono a tutti note; oggi l’aspetto morale è considerato pacificamente un autonomo componente del danno alla salute e viene valutato sulla base della corrispondenza, su di una base di proporzionalità diretta, della gravità della lesione: “tanto più grave, difatti, sarà la lesione della salute, tanto più il ragionamento inferenziale consentirà di presumere l’esistenza di un correlato danno morale inteso quale sofferenza interiore, morfologicamente diversa dall’aspetto dinamico relazionale conseguente alla lesione stessa.” (così Cass. n.25164/2020 – qui una riflessione).
La condotta dolosa
Può, quindi, affermarsi che il danno morale coincide con la percentuale forfettaria indicata nella tabella del Tribunale di Milano (incremento per sofferenza), stante la normale corrispondenza in termini di proporzionalità diretta tra gravità della lesione e sofferenza soggettiva. Tuttavia, nel caso di condotta dolosa può verificarsi un’eccezione a tale regola.
La Corte di Cassazione, in una vicenda in cui un soggetto aveva aggredito la vittima alle spalle nel corso di un diverbio nel corso di una partita amatoriale di calcio, mordendogli l’orecchio e causandogli il distacco parziale del lobo superiore, con danno biologico del 10%, palesa la necessità di valutare se il fatto illecito violento, di natura dolosa, da cui è derivata la lesione alla persona, meriti una particolare e separata valutazione in termini di danno morale, e la fattispecie dunque integri le ipotesi particolari che giustificano, in ipotesi, anche uno sconfinamento dai parametri tabellari ordinari (Cass. n. 32787/2019). In questo caso la natura dolosamente aggressiva della condotta conduce a presumere una sofferenza morale maggiore rispetto a quella attribuita in misura standard dalle tabelle, anche se non viene ravvisata la lesione di ulteriori interessi costituzionalmente rilevanti, probabilmente in quanto la condotta è indirizzata unicamente alla aggressione fisica.
Lesione del diritto alla salute
Rimanendo in argomento di lesione del diritto alla salute, possono risultare compromessi interessi ulteriori rispetto alle menomazioni dell’integrità fisica. In un caso di atti di libidine su minore che avevano provocato una lesione dell’integrità psichica clinicamente accertata come rilevante, la Suprema Corte ha affermato che “il danno morale non era una mera quota del danno alla salute, ma scaturiva dalla lesione di beni giuridici diversi, tutelati da norme diverse della Costituzione”. Può, dunque, dirsi superata la regola iuris della unitarietà del danno non patrimoniale, tuttavia il Giudice deve compiere un esame analitico delle varie voci di danno giuridicamente rilevanti (che devono essere dettagliatamente allegate dalla parte danneggiata), ivi compreso il danno morale, che non deve essere liquidato sterilmente in una frazione del danno biologico.
Danno biologico componente di quello morale
In alcune decisioni penali, emesse a seguito di costituzione di parte civile, i Giudici hanno considerato il danno biologico, e in particolare il danno psichico, come componente di quello morale, prescindendo dai parametri tabellari utilizzati dalla giurisprudenza civile (vedasi Cass. pen. n. 46170/2014 in un caso di violenza sessuale su minore in cui il giudice di merito aveva considerato unitariamente il danno biologico subito, in termini di compromissione della vita familiare ed affettiva, perdita dell’infanzia, pregiudizio di serena crescita e di progressivo sviluppo psicofisico, e Cass. pen. n. 10802/2018 in cui, in fattispecie analoga a quella sopra menzionata, si afferma che occorre tenere conto dell’intensità della violazione della libertà morale e fisica nella sfera sessuale del minore, del turbamento psichico cagionato e delle conseguenze sul piano psicologico individuale e dei rapporti intersoggettivi, degli effetti proiettati nel tempo nonché dell’incidenza del fatto criminoso sulla personalità della vittima).
La sofferenza connessa alla lesione dei diritti
L’approccio civilistico è del tutto differente in quanto richiede l’individuazione dei beni lesi come presupposto per la successiva individuazione delle conseguenze dannose correlate a ciascuno di essi.
Dalla giurisprudenza di merito si può avere un’idea più concreta di come, a fronte di illeciti dolosi, siano stati incrementati i valori massimi scaturenti dall’applicazione delle tabelle riguardanti la lesione dell’integrità psicofisica, ovvero ancora sia stata riconosciuta un’altra voce di danno, determinata in via equitativa, per la sofferenza connessa alla lesione di diritti costituzionalmente tutelati diversi dal diritto all’integrità fisica, nei casi in cui il danno alla salute era minimale rispetto al danno più rilevante alla libertà sessuale, alla libertà personale, all’onore, alla reputazione, ecc.
Ad esempio, in un caso emblematico deciso dal Tribunale di Milano (6963/2021 Giudice Spera), inerente atti di violenza sessuale su minore che aveva riportato un disturbo post-traumatico da stress cronico con invalidità temporanea protrattasi per due anni e postumi permanenti nella misura del 18%, la gravità della condotta dolosa, determinando una maggiore intensità delle sofferenze psicofisiche e delle conseguenze dinamico-relazionali patite dalla vittima, ha giustificato un incremento della liquidazione in misura doppia rispetto alla personalizzazione massima prevista dalle Tabelle milanesi in materia di danno biologico, sia temporaneo che permanente.
L’intensità della colpa ai fini della liquidazione del danno
Oltre alla gravità della condotta dolosa, anche l’intensità della colpa ha assunto rilievo ai fini della liquidazione del danno. Il Tribunale di Torino, in un caso di morte di un ragazzo a causa del crollo in un’aula scolastica di un controsoffitto, ha osservato come “la gravità del fatto non è priva di rilievo per le modalità e il contesto in cui si è verificato, nella misura in cui le peculiarità dell’evento lesivo si riverberano sul danno effettivamente subito, e dunque pur sempre in un’ottica riparatoria o compensativa e non sanzionatoria” (Trib. Torino, sez. IV, 3 giugno 2015).
La personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale passa, quindi, spesso attraverso il riferimento ai profili soggettivi (dolo o colpa grave), o in generale alla gravità della condotta per il cui apprezzamento soccorrono automaticamente i criteri di cui all’art. 133, comma 1, c.p. Parte della dottrina, nella tendenza espressa dalla giurisprudenza ad aumentare la posta del danno morale in funzione della gravità della condotta e dei profili soggettivi della stessa, ha ravvisato il mascheramento della sostanziale irrogazione di sanzioni pecuniarie punitive.
Funzione punitiva del danno non patrimoniale?
Si può allora discorrere di funzione punitiva del danno non patrimoniale? A tale ammissibilità, in astratto, non si sono opposte le S.U. (16601/2017) che rivendicano l’autonoma ratio dell’art. 2059 c.c.
Non si può negare che una componente rilevante della sofferenza interiore è il sentimento di subire un’ingiusta e grave offesa a un diritto fondamentale, considerazione che giustifica l’autonoma previsione dell’art. 2059 c.c. accanto alla norma generale di cui all’art. 2043 c.c., ma non elide la necessità, a livello teorico, dell’esistenza di un danno conseguenza, seppure portando a un rilevante sgravio dell’onere probatorio.
Conclusivamente, la giurisprudenza di legittimità appare, ad oggi, consolidata nel mantenere almeno a livello teorico la rilevanza autonoma del danno conseguenza ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale.
Avv. Emanuela Foligno