La Suprema Corte traccia le regole per la liquidazione del danno biologico, comprendendo in tale categoria le incidenze delle menomazioni sulle quotidiane attività “dinamico-relazionali”

“L’incidenza d’una menomazione permanente sulle quotidiane attività “dinamico-relazionali” della vittima non è affatto un danno diverso dal danno biologico ”. Lo ha chiarito la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7513/2018.

La pronuncia prende le mosse dalla causa intentata da un uomo, rimasto ferito in conseguenza d’un sinistro stradale, nei confronti della compagnia assicurativa del veicolo presso cui era trasportato.

Questa, a suo dire, gli aveva corrisposto somme inferiori al risarcimento dovutogli, avuto riguardo all’entità dei danni patiti. Di qui la richiesta di liquidazione di quanto ancora ancora risarciti.

In primo grado il Tribunale aveva riconosciuto le pretesa dell’attore, ma la sentenza era stata riformata in appello.

La Corte territoriale, infatti, aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante, in tesi scaturito dalla riduzione del reddito lavorativo, ritenendola non provata.

Il Giudice di secondo grado, inoltre, aveva ridotto il risarcimento del danno biologico del 25%. Tale era stato l’incremento disposto dal Tribunale tenendo conto che la vittima aveva dovuto rinunciare, a causa dell’infortunio, alla cura dell’orto e del vigneto. Attività cui era solito in precedenza attendere.

Sul punto si è pronunciata la Cassazione, su impugnazione presentata dall’attore. Il ricorrente, in particolare, evidenziava la contraddittorietà della sentenza di secondo grado. A suo giudizio, infatti, la Corte d’appello avrebbe accertato in fatto l’esistenza d’un “danno dinamico-relazionale”. Al contempo, avrebbe negato che tale circostanza giustificasse l’incremento della misura standard del risarcimento del danno alla salute.

I Giudici del Palazzaccio hanno respinto tale argomentazione ritenendola infondata. La Cassazione ha stabilito che  il risarcimento corrispondente a un determinato grado di invalidità riconosciuta, comprende già la menomazione degli aspetti ‘dinamico relazionali’. Questi, infatti, rappresentano una conseguenza ‘normale’ del danno alla salute e non di un danno diverso.

La Suprema Corte, nell’occasione, ha riassunto in dieci punti le regole per il risarcimento del danno alla salute.

A partire dall’individuazione delle due categorie di danno disciplinate dal nostro ordinamento: quello patrimoniale e quello non patrimoniale. Si tratta di due categorie giuridicamente ‘unitarie’, vale a dire che qualsiasi pregiudizio è soggetto alle medesime regole e ai medesimi criteri risarcitori.

Per quanto concerne la liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve prendere in esame tutte le conseguenze dannose dell’illecito. D’altro canto deve evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici. In sede istruttoria, deve procedere a un articolato e approfondito accertamento, in concreto e non in astratto, dell’effettiva sussistenza dei pregiudizi affermati dalle parti. Se occorre, deve dare ingresso a tutti i necessari mezzi di prova. Deve inoltre opportunamente accertare se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito. A tal fine può utilizzare anche, ma senza rifugiarvisi aprioristicamente, il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni,  senza procedere ad alcun automatismo risarcitorio.

Per la Cassazione, in presenza d’un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l’attribuzione d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente.

La misura standard del risarcimento può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale e affatto peculiari. Viceversa, non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit. Si tratta, nello specifico, di quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire.

Non costituisce invece duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale.

Questi ultimi, infatti, non hanno base organica e sono estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore. Tra di essi figurano, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione. Qualora sia correttamente dedotta e adeguatamente provata l’esistenza di uno di tali pregiudizi, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione.

Infine gli Ermellini si soffermano sul danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati. Tale danno va liquidato non diversamente che nel caso di danno biologico. In tale caso occorre tener conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa, quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell’uno come nell’altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria.

Leggi anche:

IL DANNO NON PATRIMONIALE COME NOVELLATO DALLA LEGGE N. 124/2017

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui