In caso di emotrasfusioni, qualora il sangue sia stato già controllato dalla Asl competente, la struttura sanitaria è esonerata dal compiere ulteriori accertamenti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7292/2018, ha chiarito la natura della responsabilità della struttura sanitaria in caso di  emotrasfusioni con sangue infetto. Per gli Ermellini, tale responsabilità può essere esclusa “purché essa dimostri di avere posto nell’adempimento della sua obbligazione la diligenza qualificata”.

La struttura “è esonerata dal compiere controlli ulteriori rispetto a quelli (all’epoca) comunemente praticati”, qualora abbia trasfuso sangue già controllato e verificato dall’ASL competente. Fa invece eccezione il caso in cui essa stessa abbia natura di autonomo centro trasfusionale.

La Suprema Corte, nel caso esaminato, si è pronunciata sul ricorso presentato da un  paziente nei confronti del Ministero della Salute e dell’Università di Napoli. L’uomo chiedeva il risarcimento dei danni conseguenti al contagio col virus HCV assertivamente riconducibile a emotrasfusioni con sangue infetto avvenute presso l’Ateneo nel 1983.

Il Tribunale aveva rigettato l’istanza per intervenuta prescrizione, ritenendo sussistente la sola responsabilità di natura extracontrattuale.

Il Giudice d’Appello aveva invece distinto i titoli di responsabilità tra Ministero e Università: extracontrattuale nel primo caso e contrattuale nel secondo. Di qui la constatazione dell’intervenuta prescrizione quinquennale per il Dicastero. Per l’Ateneo, invece, il termine decennale previsto dal momento di proposizione della domanda giudiziale non era ancora trascorso.

Tuttavia anche la Corte territoriale aveva respinto la pretesa risarcitoria, rilevando che i controlli sulla regolarità del sangue destinato alla trasfusione spettano solo al Ministero.

Il paziente aveva quindi presentato ricorso davanti alla Suprema Corte, lamentando l’erronea applicazione della normativa in ordine alla responsabilità contrattuale dell’Università.

I Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto fondata la doglianza, cassando la sentenza impugnata e rimettendola alla Corte d’Appello per un giudizio ex novo.

La Cassazione ha evidenziato che la responsabilità del Ministero non fa venir meno quella di natura contrattuale della struttura che ha concretamente praticato le trasfusioni.

Di conseguenza, il danneggiato è tenuto a provare l’esistenza contratto (o il contatto sociale) e l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di un’affezione. Il paziente deve inoltre allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato. Spetta invece al debitore dimostrare “o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante”.

Gli Ermellini hanno aggiunto poi che, in caso di emotrasfusioni di sacche di sangue “provenienti dal servizio di immunoematologia trasfusionale della USL”, esula dalla diligenza della singola struttura, pubblica o privata, inserita nella rete del SSN, “il dovere di conoscere e attuare le misure attestate dalla più alta scienza medica a livello mondiale per scongiurare la trasmissione di virus, almeno quando non provveda direttamente con un autonomo centro trasfusionale”.

Nel caso esaminato, quest’ultimo accertamento non era stato effettuato. Il Giudice a quo si era limitato ad affermare sic et sempliciter che la struttura non è tenuta ad alcun controllo sulle sacche di sangue.

Il Giudice del rinvio, quindi, dovrà ora accertare se le sacche di sangue infetto fossero state acquisite tramite la struttura pubblica competente. In tal caso dovrà poi verificare se fossero stati eseguiti da quest’ultima i controlli imposti dalla normativa allora vigente. Solo in tal caso si potrà ritenere che la struttura ospedaliera abbia adempiuto la propria obbligazione e sia pertanto esente da responsabilità.

 

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