Cedimento del carrello elevatore e infortunio del lavoratore

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Cedimento del carrello elevatore provoca l'infortunio

Cedimento del carrello elevatore provoca l’infortunio (Tribunale Chieti, sez. lav., 27/02/2023, n.91).

Infortunio del lavoratore con danno permanente del 6% per il cedimento del carrello elevatore.

L’INAIL propone azione di regresso nei confronti del datore di lavoro deducendo che il lavoratore, a causa dell’improvviso cedimento del carrello elevatore sul quale stava operando si infortunava riportando inabilità temporanea assoluta per gg.108 e danno biologico permanente nella misura del 6% per esiti di “piccolo distacco dell’apice del dente dell’epistrofeo, con vertigini, ed esiti di meniscectomia artroscopica con lieve ipotrofia della muscolatura della coscia”.

Deduce l’Istituto di avere erogato le prestazioni di legge per un valore di € 9.886,71 di cui chiede la refusione al datore di lavoro, che rimane contumace.

Preliminarmente il Tribunale da atto del principio pacifico secondo cui il mancato adempimento del dovere, stabilito dall’art. 2087 c.c., di adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori è fonte di responsabilità contrattuale, configurando un illecito che attiene ad una preesistente obbligazione di origine legale.

La norma menzionata determina un obbligo di comportamento che trova la sua fonte nella Costituzione, e precisamente nell’art. 32 comma 1 – secondo il quale lo Stato assume la tutela della salute dei cittadini “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” – e nell’art. 41 commi 1 e 2 – ove, affermandosi il principio di libertà dell’iniziativa privata, si condiziona in concreto tale iniziativa imponendosi che essa si svolga con modalità tali da non pregiudicare la sicurezza e l’incolumità fisica degli addetti.

Ciò posto, la sola verificazione dell’infortunio non è sufficiente per far scattare a carico del datore l’onere probatorio di avere adottato ogni sorta di misura idonea ad evitare l’evento; la prova liberatoria dell’imprenditore presuppone, difatti, la dimostrazione, da parte del lavoratore, sia del danno subito che del rapporto di causalità fra la mancata adozione di determinate misure di sicurezza e il danno.

Dalla documentazione prodotta, e in particolare dal rapporto del servizio di Prevenzine dell’ASL, risulta  provata l’avvenuta violazione dell’art. 71, comma 3, del D.Lgs. n. 81/08 e s.m.i. “per non avere il datore di lavoro adottato, al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all’uso delle attrezzature di lavoro e per impedire che esse possano essere utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non sono adatte, adeguate misure tecniche ed organizzative, tra le quali quelle dell’Allegato VI, che indica esplicitamente che sui ponti sviluppabili e simili gli operai addetti devono fare uso di idonea cintura di sicurezza”.

Nel caso di specie, l’infortunio configura gli estremi del delitto delle lesioni personali gravi compiute in relazione alla violazione della normativa antinfortunistica, reato perseguibile d’ufficio. La gravità delle lesioni viene desunta dalla valutazione Medico-legale contenuta nella documentazione prodotta dall’Inail, che attesta l’esistenza del nesso di derivazione causale tra le lesioni riportate dal dipendente e la caduta da questi riportata in data 24.10.2027, da cui era derivata una inabilità temporanea assoluta per giorni 108 e danno biologico permanente nella misura del 6%.

Per tali ragioni viene dichiarato che l’INAIL  ha diritto ad agire in regresso nei confronti del datore di lavoro, che viene condannato a rifondere l’importo di euro  9.941,19 a titolo di regresso per le prestazioni erogate, oltre ad interessi legali, nonché al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 4559,00, oltre agli accessori dovuti per legge.

Avv. Emanuela Foligno

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