Realizzato all’Ospedale Careggi, con l’impiego di due robot che hanno operato contemporaneamente in un’unica sala operatoria in cui si trovavano donatore e ricevente

L’Ospedale Careggi di Firenze è stato lo scenario del primo intervento contemporaneo di prelievo e trapianto di rene da vivente in chirurgia robotica realizzato in Italia. La complessa procedura si svolta in una sala operatoria chiamata ‘gemella’ perché dotata di due letti e due robot chirurgici, uno per il donatore e l’altro per il ricevente.
Il tutto è stato seguito da due equipe della Chirurgia mini-invasiva e dei trapianti renali dell’Azienda ospedaliero universitaria fiorentina, diretta da Sergio Serni. Mentre una prima equipe completava la procedura di prelievo, l’altra a pochi metri di distanza, stava preparando il paziente per ricevere l’organo e quindi completare il trapianto.
L’intervento è durato complessivamente 4 ore, grazie alla sovrapposizione delle 3 fasi in cui è stata organizzata la procedura: prelievo del rene, sua preparazione su banco e quindi trapianto. Questo ha consentito di risparmiare un’ora di tempo, riducendo al minimo i minuti in cui il rene non ha ricevuto ossigeno dalla circolazione sanguigna.
L’impiego del robot chirurgico, manovrato dal chirurgo mediante una console, rende meno invasiva la fase del prelievo dell’organo da donatore vivente. La pratica di piccoli fori di 8 millimetri nell’addome del donatore ha consentito di isolare e tagliare con estrema precisione le vene e le arterie del rene per estrarlo da una piccola incisione di 6 centimetri sopra l’inguine. La successiva fase di preparazione del rene ha previsto una valutazione delle sue condizioni; quindi l’organo è stato avvolto in ghiaccio sterile, fine come la neve, e poi rivestito con una garza sterile. Contemporaneamente la seconda equipe, con l’altro sistema robotico, ha preparato il paziente a ricevere l’organo e quindi ha completato l’ultima fase di trapianto.
L’utilizzo del robot nel trapianto renale, peraltro,  consente di ridurre al minimo i giorni di degenza post-operatoria,  nonché il rischio di infezioni della ferita chirurgica nei pazienti da trapiantare,  proprio in virtù della necessità di praticare  una incisione 3 volte più piccola rispetto alla chirurgia tradizionale.

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