Sette mesi di stato comatoso e poi il decesso della paziente: il collegamento tra patologia e decesso del paziente rappresenta un tema cruciale nella responsabilità sanitaria (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 11 giugno 2025, n. 15581).
La vicenda clinica
I familiari del paziente deceduto citano a giudizio la ASL n. 1 L’Aquila Avezzano Sulmona chiedendone iure hereditatis la condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali da malpractice sanitaria, nonché, iure proprio, la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti per la perdita del rapporto parentale.
La paziente era stata sottoposta a un intervento di protesizzazione del ginocchio sinistro il 29 ottobre 2012 presso l’Ospedale di Avezzano.
Durante la convalescenza, priva di complicazioni, il 31 ottobre 2012 veniva colpita da un arresto cardiocircolatorio, per il quale viene asserito che non era stata fornita assistenza tempestiva, con ritardo nell’uso del defibrillatore. Ciò avrebbe causato un’encefalopatia anossica, portando la paziente a uno stato di coma irreversibile per sette mesi. Il decesso sopraggiungeva il 31/5/2013 presso l’ospedale di Subiaco.
L’iter giudiziario
Il Tribunale accoglie parzialmente la domanda, ritenendola solo in parte provata con riferimento allo specifico frangente di quanto accaduto il 31 ottobre 2012 (trattamento dell’arresto cardiocircolatorio non idoneo, né tempestivo quanto al prioritario e ritardato impiego del defibrillatore) e l’insorgenza dell’irreversibile danno cerebrale.
In accoglimento, invece, dell’eccezione sollevata dalla ASL, ritiene parzialmente nulla la CTU e inutilizzabile nella parte in cui aveva affermato l’esistenza di un nesso causale tra detta condizione patologica (e l’inadempimento che ne era stato a sua volta causa) e il successivo decesso (la cui causa prossima era indicata in una emorragia digestiva), in quanto basata per tale parte su informazioni tratte da documenti non ritualmente acquisiti al giudizio, ovverosia la cartella clinica dell’ultimo ricovero del paziente presso l’Ospedale di Subiaco da cui era stata tratta la diagnosi finale sulle cause immediate della morte e che, però, non era stata allegata, né prodotta dalle parti, e neppure era materialmente presente in atti, essendo stato l’Ausiliario autorizzato, ex art. 194 c.p.c. in corso di perizia, alla sola acquisizione del certificato necroscopico e del certificato ISTAT inerenti al decesso.
Per tali ragioni viene riconosciuto ai familiari il solo diritto iure hereditatis al risarcimento per il danno biologico e per il danno patrimoniale determinato dalla predetta lesione causata alla loro dante causa.
Invece, la Corte d’appello di L’Aquila ha ritenuto utilizzabili le informazioni acquisite dal CTU perché non eccedenti i poteri riconosciutigli, ed ha liquidato anche il danno iure proprio per perdita del rapporto parentale. L’acquisizione della cartella clinica in questione era strumentale all’espletamento del mandato relativo alla verifica della sussistenza del nesso causale tra la condotta dei sanitari e l’evento-morte.
Il collegamento tra patologia e decesso del paziente
Difatti, La Corte di merito ha osservato che “le cause prossime del decesso, nel quadro complessivo derivante dall’evento dannoso (anossia cerebrale e successivo coma irreversibile) sono state oggetto di accertamento quali fatti secondari, privi di efficacia probatoria diretta, ma funzionali alla dimostrazione dei fatti principali: queste, infatti, si sono indubbiamente inserite nella sequenza causale avviatasi con il primo evento riconducibile alla condotta negligente dei sanitari (ovverosia il tardivo intervento per il trattamento dell’arresto cardio-circolatorio), tanto da dover essere a questa ricollegate secondo il criterio della ragionevole certezza”.
Inoltre, i Giudici di appello hanno fatto presente che il CTU, “proprio in risposta alle osservazioni del CTP della convenuta, che aveva contestato la sussistenza del rapporto causale tra la morte ed il danno neurologico, ha precisato che le complicanze dello stato vegetativo persistente (certamente causato dalla negligenza ed imperizia medica) conducono con elevata probabilità a morte i pazienti in un lasso variabile di tempo e che, soprattutto, l’emorragia digestiva, causa (tra le ultime) del decesso, rientra tra le suddette complicanze, siccome a sua volta complicanza della PEG (gastrostomia endoscopica percutanea)”.
La decisione della Corte di Cassazione
La ASL lamenta che la Corte d’appello abbia erroneamente ritenuto valida e utilizzabile la CTU espletata in primo grado ai fini dell’accertamento del nesso di causa tra la condotta contestata ai sanitari dell’Ospedale di Avezzano e l’evento morte, essendo la documentazione acquisita dal CTU riguardante fatti principali (che avrebbero dovuto essere provati dagli attori).
Ebbene, la S.C. nel rigettare quanto sopra censurato dalla ASL, evidenzia che la Corte d’appello ha ampiamente argomentato la valutazione riguardante il pieno rispetto dei limiti entro i quali, secondo i principi dettati da Cass. Sez. U. n. 3086 del 2022, è consentito al CTU di acquisire documentazione ai fini e nei limiti delle indagini e nell’osservanza del contraddittorio delle parti. Ad ogni modo, ciò che può dirsi concretamente dirimente nel caso in esame, sono le valutazioni di carattere tecnico-scientifico svolte dall’Ausiliario sulla base dei fatti ritualmente allegati e provati dagli attori/appellanti e non – o quanto meno non in maniera determinante – sulla cartella clinica acquisita relativa al ricovero presso l’Ospedale di Subiaco.
Il ragionamenti dei Giudici di Appello
Volendo analizzare nel dettaglio il ragionamento dei Giudici di Appello:
- L’accertamento del carattere negligente (e dunque inadempiente) di tale condotta e del conseguente grave peggioramento delle condizioni cliniche della paziente (encefalopatia anossica) è in sé incontestato e può dirsi coperto da giudicato interno.
- Il successivo sviluppo della sequenza causale, ovvero il collegamento tra tale condizione patologica e la morte della paziente, sul piano assertivo, è coperto dalle allegazioni iniziali che hanno chiaramente affermato l’esistenza di preciso nesso causale tra quel peggioramento indotto dalla condotta dei sanitari e la morte della donna.
- Sul piano probatorio la validità di tale prospettazione ha trovato poi conferma nelle conclusioni del CTU che, indipendentemente dagli argomenti desumibili dalla cartella clinica in questione, ha precisato che “le complicanze dello stato vegetativo persistente (certamente causato dalla negligenza ed imperizia medica) conducono con elevata probabilità a morte i pazienti in un lasso variabile di tempo e che, soprattutto, l’emorragia digestiva, causa (tra le ultime) del decesso, rientra tra le suddette complicanze, siccome –a sua volta –complicanza della PEG (gastrostomia endoscopica percutanea)”.
Ergo, non può affermarsi che l’allegazione e la prova del fatto principale non è stato desunto dalla asserita illegittima acquisizione da parte del CTU della cartella clinica del ricovero presso l’Ospedale di Subiaco.
Tale contestata acquisizione ha semmai costituito acquisizione idonea solo a verificare l’inesistenza di fatti idonei a interrompere un collegamento causale comunque già certamente predicabile tra evento e inadempimento dei sanitari, in via presuntiva ma in termini di “ragionevole certezza”, sulla base dei fatti ritualmente acquisiti e secondo valutazione medico-legale.
Osservazioni: il collegamento tra patologia e decesso del paziente rappresenta un tema cruciale nella responsabilità sanitaria
La decisione qui a commento, che, come visto, ha confermato appieno il secondo grado di merito, è meritevole delle seguenti osservazioni:
- in tema di responsabilità sanitaria da inadempimento contrattuale incombe al paziente-danneggiato provare il nesso di causalità materiale fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, ma tale prova ben può essere data anche mediante presunzioni.
- La presunzione si risolve in una relazione di tipo probabilistico-inferenziale che, sulla base di leggi scientifiche o statistiche di copertura o di massime di esperienza, consente di risalire da un fatto noto al fatto ignoto da provare.
- Tale relazione va verificata in concreto secondo giudizio di credibilità razionale, alla luce delle risultanze obiettive del singolo caso (probabilità logica o baconiana).
- Ai fini di tale verifica se l’attore/creditore offre elementi idonei a supportare un tale giudizio inferenziale/probabilistico, le regole del processo certo non escludono che il debitore possa offrire la contro-prova atta a falsificare il risultato probabilistico raggiunto con gli elementi di giudizio offerti dal primo.
Quanto sopra è orientamento del tutto consolidato e, alla luce di tali considerazioni deve osservarsi sul caso concreto esaminato che, mentre da un lato la prova presuntiva del nesso causale tra condotta dei sanitari e il successivo evento morte poteva ritenersi raggiunta, proprio in base alle valutazioni del CTU ed agli elementi comunque pacifici in causa, anche senza l’acquisizione del certificato attestante la causa prossima dell’evento, dall’altro lato era semmai onere dell’ASL allegare e provare che tale causa prossima aveva natura ed origine assolutamente estranee a quella già ipotizzabile su base presuntiva-inferenziale in relazione agli elementi acquisiti.
Avv. Emanuela Foligno