Confermata la decisione dei Giudici di merito che avevano respinto la domanda risarcitoria di un pedone per i danni asseritamente subiti dopo essere stato colpito lo specchietto da veicolo rimasto non identificato

La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 36904/2021, si è pronunciata sul ricorso di un uomo che si era visto respingere, in sede di merito, la domanda risarcitoria proposta nei confronti dell’impresa assicurativa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, per i danni subiti per essere stato investito, mentre a piedi procedeva lungo il margine destro di una strada, da veicolo rimasto non identificato, che, provenendo da tergo, lo aveva colpito con lo specchietto destro al polso ed alla mano sinistra.

La Corte di appello aveva infatti ritenuto che l’attore (appellante) non avesse fornito convincente prova dell’essere rimasto coinvolto in un sinistro stradale cagionato da un veicolo non identificato premettendo, in punto di diritto, che:

  • in ipotesi di danno cagionato da veicolo o natante non identificato, è onere del danneggiato che agisca in giudizio per ottenerne il risarcimento, dimostrare sia che il sinistro si sia verificato per condotta dolosa o colposa del conducente di un altro veicolo o natante, sia che quest’ultimo sia rimasto sconosciuto;
  • la prova deve riguardare non solo la presenza di un veicolo non identificato ma anche la impossibilità incolpevole della mancata identificazione;
  • l’imposizione, a carico del danneggiato, di un onere di diligenza nell’identificazione del veicolo risponde all’esigenza di impedire eventuali frodi;
  • l’onere di denuncia all’autorità giudiziaria non può essere considerata condizione per l’accoglimento della domanda (non rilevando pertanto a maggior ragione la presentazione della denuncia dopo circa tre mesi dal fatto) e, tuttavia, la semplice presentazione della denuncia non può valere a dimostrare l’impossibilità incolpevole di identificare il veicolo investitore.

Il Collegio distrettuale aveva poi concluso che “nel caso di specie, dalla complessiva valutazione del materiale probatorio in atti, deve ritenersi corretto il rigetto operato dal primo giudice, tenuto conto del fatto che l’investito non si [è] nell’immediatezza recato al pronto soccorso e che solo dopo circa tre mesi [ha] presentato querela in relazione al sinistro …, querela, che, sebbene tempestiva, non contiene alcun riferimento al teste XY (che sulla base della testimonianza resa, non solo sarebbe stato presente sui luoghi perché aveva accompagnato il minore, ma addirittura lo aveva soccorso nell’immediatezza), al quale parte appellante non fa riferimento neppure nella pluralità di richieste risarcitorie rivolte alla compagnia; circostanze che, da un lato fanno dubitare dell’effettiva presenza del teste sui luoghi di causa e, dall’altro, in caso di presenza effettiva, l’omessa indicazione non ha consentito alla Procura di svolgere le opportune indagini per l’identificazione del responsabile”.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente denunciava, con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., «violazione e non corretta applicazione» dell’art. 283 d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), dell’art. 2054 cod. civ. e degli artt. 112 e 116 cod. proc. civ. lamentando che il giudice di appello aveva pretermesso ogni valutazione delle risultanze istruttorie e segnatamente della prova testimoniale, ancorando la sua decisione al non corretto presupposto — non richiesto in materia — della mancata prova della impossibilità di identificazione del veicolo investitore da parte del danneggiato. Osservava che non corrispondeva al vero che egli non si fosse recato nell’immediatezza al pronto soccorso, risultando dal relativo certificato che, dal momento dell’accaduto al ricevimento delle cure presso il presidio ospedaliero, erano decorse appena due ore. Rilevava che contraddittoriamente il tribunale, da un lato, escludeva che la denuncia all’autorità giudiziaria potesse essere considerata condizione per l’accoglimento della domanda (e che quindi ad esso possa ostare, nella specie, la presentazione della querela circa tre mesi dopo l’evento), dall’altro, finiva col predicare comunque l’esistenza, a carico del danneggiato, di un “onere di diligenza nell’identificazione del veicolo”, che si traduceva — sul piano processuale — non solo nell’obbligo della presentazione della querela, ma, anche nella necessità che l’attore fornisse la “prova dell’impossibilità incolpevole dell’identificazione”. Rilevava che, in tal modo, la decisione impugnata si poneva in contrasto con il principio costantemente affermato dalla Cassazione secondo cui “in tema di sinistri stradali causati da veicoli non identificati, la presentazione di una denuncia o di una querela contro ignoti non è condizione di proponibilità dell’azione di risarcimento del danno esperita, ai sensi dell’art. 19 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (ratione temporis applicabile), nei confronti dell’impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, né il danneggiato è tenuto ad attivarsi per identificare il veicolo in quanto l’accertamento giudiziale, nel cui contesto la presentazione o meno della denuncia o della querela costituisce un mero indizio, non riguarda la diligenza della vittima nel consentire l’individuazione del responsabile, ma la circostanza che il sinistro stesso sia stato effettivamente provocato da un veicolo non identificato”. Ne deriverebbe la violazione anche del principio del libero convincimento e della disponibilità delle prove ex art. 116 cod. proc. civ., avendo il tribunale operato una valutazione non in linea con le prove in atti.

Gli Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto inammissibili le doglianze proposte.

Le considerazioni svolte in sentenza circa, in particolare, la mancata indicazione nella querela e nelle varie richieste di risarcimento della persona poi chiamata a testimoniare in sede civile, se da un lato erano poste a supporto dell’espresso convincimento in ordine alla scarsa diligenza dimostrata dal danneggiato nel consentire l’identificazione del veicolo asseritamente danneggiante, dall’altro, tuttavia, erano anche poste a fondamento dell’ulteriore convincimento circa la dubbia presenza del teste sul luogo dell’incidente e dunque sulla inattendibilità, quanto meno oggettiva, della sua deposizione. Con tale autonoma, pertinente e decisiva ratio decidendi il ricorrente ometteva di confrontarsi.

La Suprema Corte ha evidenziato, al riguardo, che se è vero che, in base al principio correttamente evocato in ricorso e pienamente condivisibile, in tema di sinistri stradali causati da veicoli non identificati, la presentazione di una denuncia o di una querela contro ignoti non è condizione di proponibilità dell’azione di risarcimento del danno, né tanto meno lo è la sua tempestività, è anche vero però che, una volta che tale denuncia sia stata comunque presentata, come nella specie, essa e il suo contenuto divengono fatti pienamente valutabili, da parte del giudice del merito, unitamente alle altre prove raccolte, ai fini dell’accertamento da compiere — secondo regola probatoria che vede l’attore onerato della relativa prova — sulla storicità del sinistro e sul fatto che esso sia stato effettivamente provocato da un veicolo non identificato.

In tale diversa prospettiva la valutazione operata dal giudice a quo — sfrondata da considerazioni in effetti non pertinenti su inesistenti oneri di diligenza in capo al danneggiato nell’attivarsi per rendere possibile o agevolare l’identificazione del veicolo investitore e/o del suo conducente — rimaneva chiaramente isolabile nel percorso argomentativo e idonea a fondare la statuizione di rigetto, oltre che insindacabile in quanto intrinsecamente congrua sul piano logico e giuridico.

La redazione giuridica

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