Il caso affrontato dagli Ermellini nella recente sentenza n° 53444/16 racconta una storia dai contorni tristi, di speculazione da parte di un ginecologo sulle false lungaggini temporali della procedura legale di interruzione volontaria della gravidanza, tale da integrare gli estremi del reato di concussione, sanzionato dall’art. 317 c.p..
In particolare, nel caso di specie l’indagato, ginecologo, dirigente medico del reparto di ginecologia del nosocomio ove prestava attività lavorativa, rappresentava alle donne che si presentavano all’interno del suo reparto e che volevano abortire, che la procedura legale per la interruzione volontaria della gravidanza era lunga, complessa ed articolata.
In ragione di ciò, pertanto, la vittima era costretta a procedere all’aborto in maniera privata, in quanto la sua volontà risultava compromessa, trovandosi dinanzi alla scelta di far emergere la gravidanza ovvero di praticare l’interruzione volontaria della gravidanza privatamente, con conseguente illecito arricchimento del medico.
Orbene, nella vicenda in esame, il Collegio di Legittimità – interpellato nel corso del procedimento cautelare, all’esito dell’applicazione all’indagato della misura coercitiva – ha ritenuto la piena configurabilità in capo al ginecologo del reato di concussione, così come modificato dalla Legge anticorruzione n° 190/2012, poiché il medico rappresentava alle malcapitate gestanti situazioni non affatto veritiere, ma capaci di incidere sulla volontà delle medesime.
Infatti, il medico, esaltando il proprio ruolo di dirigente all’interno del reparto di ginecologia del nosocomio ove prestava attività lavorativa, presso il quale risultava operativo un ambulatorio di interruzione volontaria della gravidanza, faceva presente alle malcapitate gestanti che la pratica di IVG ospedaliera presentava tempi di attesa molto lunghi.
Ebbene, si trattava di circostanze fattuali del tutto mendaci, poiché a dispetto di quanto rappresentato dal sanitario alle donne, i tempi per la pratica di IVG erano piuttosto elastici, tali da venire incontro alle esigenze delle singole gestanti.
Tale condotta influiva sulla volontà delle donne le quali optavano pertanto per la pratica di aborto in maniera privata, con conseguente indebito arricchimento del sanitario.
In altre parole, il medico indagato, approfittando della propria posizione di dirigente del reparto di ginecologia dell’ospedale ove lavorava e rappresentando alle malcapitate gestanti lungaggini burocratiche del tutto insussistenti, induceva le donne a praticare l’interruzione volontaria della gravidanza all’interno del proprio studio privato, con conseguente, suo, arricchimento.
Dunque, nel caso di specie gli Ermellini ritenevano pienamente configurato il reato di concussione, ex art. 317 c.p., a carico del ginecologo, e pertanto ritenevano infondato il Ricorso per Cassazione.
Prima di concludere è d’obbligo una specificazione: si tratta di una pronuncia emessa nell’ambito di una procedura incidentale e come tale non presenta allo stato carattere di definitività.

Avv. Aldo Antonio Montella

(Foro di Napoli)

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