Evidente il nesso eziologico tra la condotta colposa del conducente e l’evento morte del trasportato: confermata la condanna per omicidio colposo

In materia di omicidio colposo, l’automobilista il quale per colpa – consistita in violazione di regole di prudenza e delle norme sulla circolazione, sbandi ripetutamente e si arresti, alla fine, ponendosi di traverso sulla carreggiata di una strada (tanto più se a rapido scorrimento) – pone in essere, con la sua condotta, una condizione necessaria dell’arresto del traffico e delle successive eventuali collisioni sempre che non sia ravvisabile l’intervento di fattori anomali, eccezionali ed atipici che interrompano il legame di imputazione del fatto alla sua condotta colposa sì da relegarlo a mera occasione. In tal caso, il conducente pone in essere un fattore causale originario di rischio (ostruzione della carreggiata) dei successivi eventi collisivi, e l’eventuale condotta colposa (eccessiva velocità o mancato rispetto della distanza di sicurezza) dei guidatori dei veicoli sopraggiunti, seppure sinergica, non può ritenersi da sola sufficiente a determinare l’evento non essendo qualificabile come atipica ed eccezionale ma potendo, bensì, collocarsi nell’ambito della prevedibilità”. E’ il principio richiamato dalla Cassazione nella sentenza n. 4073/2021 con la quale gli Ermellini hanno respinto il ricorso di un automobilista condannato in sede di merito per il reato di omicidio colposo plurimo, aggravato dalla violazione delle norme in materia di circolazione stradale e della contravvenzione di cui all”art. 186, comma 2 lett. b) e 2-sexies cod. strada.

In base a quanto ricostruito, nel corso di un tamponamento a catena che coinvolgeva diverse autovettura, sul raccordo anulare di Roma, l’imputato, marciando sulla corsia di sorpasso e mantenendo una velocità superiore ai limiti di legge, tale da non consentirgli di arrestare il veicolo in presenza di prevedibili ostacoli sulla corsia, impattava dapprima contro la vettura Renault Scenic, che si era arrestata sulla corsia di sorpasso, cagionando la morte del conducente della predetta vettura; successivamente cagionava il decesso del suo trasportato, che subiva l’urto violento della vettura Chevrolet Orlando che impattava contro la fiancata del veicolo da lui condotto.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte il ricorrente deduceva, tra gli altri motivi, l’inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 589, comma 2 e 4, cod. pen. e il difetto di motivazione sul punto, oltre all’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 40 cod. pen. in relazione al decesso del passeggero che si trovava sulla vettura da lui guidata.

I Giudici di Piazza Cavour, tuttavia, hanno ritenuto infondata la doglianza proposta ritenendo, alla strega di quanto logicamente rappresentato nelle sentenze di merito, che l’imputato, con la sua condotta colposa, avesse dato luogo al fattore di rischio che aveva generato l’ulteriore evento collisivo che aveva condotto al decesso del trasportato.

La Corte di merito aveva precisato, offrendo congrua giustificazione, come non potesse escludersi l’evidenza del nesso eziologico esistente tra la condotta colposa dell’imputato e l’evento morte che aveva colpito il passeggero, anche tenuto conto della concorrente condotta serbata dal conducente della Chevrolet Orlando, giudicato separatamente.

“Trattasi di motivazione – hanno argomentato dal Palazzaccio – che si pone in sintonia con i principi che regolano la materia del concorso di cause, da applicarsi al caso concreto. Deve invero ribadirsi che la causa sopravvenuta sufficiente da sola alla produzione dell’evento e, quindi, avente efficacia interruttiva del nesso di causalità, è quella del tutto indipendente dal fatto posto in essere dall’agente, avulsa totalmente dalla sua condotta ed operante in assoluta autonomia, in modo da sfuggire al controllo ed alla prevedibilità dell’agente medesimo. Ne consegue che tale non può considerarsi la causa sopravvenuta legata a quella preesistente da un nesso di interdipendenza”.

La redazione giuridica

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