Una sentenza della Corte d’appello di Napoli riconosce il ‘danno terminale’, calcolandolo sulla base della invalidità temporanea

Con la sentenza del 9 febbraio 2017 la Corte d’appello di Napoli ha parzialmente riformato la sentenza del Giudice di prime cure, riguardante il risarcimento di un danno terminale nei confronti degli eredi di una donna che ha perso la vita in un tragico sinistro stradale. Tale incidente, avveniva nel 2001, quando il Sig. R. F., conducente della autovettura, in prossimità di Ceprano – Frosinone perdeva il controllo del veicolo che sbandava e fuoriusciva dalla sede stradale capovolgendosi più volte.
A bordo viaggiavano quali trasportate le Signore: R. A. (poi deceduta), G. T., R. L., V. A., che nella circostanza riportavano lesioni con postumi permanenti.
Il Giudice di prima istanza nulla aveva riconosciuto per la “sofferenza morale patita prima del decesso” da parte della vittima, ritenuto che “lo stato di coma fa presumere che sofferenza non vi sia stata e men che meno la consapevolezza della morte imminente”, nonché, ritenuta la carenza di prova, “a titolo di danni patrimoniali per l’assunto danno emergente e lucro cessante”.
Sicché le parti del processo hanno proposto appello avverso la sentenza di primo grado, in quanto la compagnia assicuratrice dell’’autovettura, Ina Assitalia, lamentava la errata liquidazione del danno biologico ereditario, mentre gli eredi della vittima contestavano la fondatezza di tale appello lamentando, tra le altre cose, in particolare la mancata liquidazione del danno biologico terminale subito dalla vittima per il periodo intercorso tra incidente e decesso, oltre alla incongrua liquidazione del danno non patrimoniale per la perdita della congiunta.
La Corte di Appello di Napoli ha pertanto statuito che l’appello principale proposto da INA Assitalia nonché l’appello incidentale spiegato dagli eredi della Signora R. A., erano parzialmente fondati e andavano accolti per quanto di ragione.
La Corte, nelle motivazioni della sentenza in esame, in realtà fa chiarezza non tanto e non solo sul quantum dovuto a titolo di risarcimento, ma più che altro chiarisce, classificandola, la tipologia del danno da risarcire. Il Giudicante, infatti, premette che la lesione dell’integrità fisica con esito letale, intervenuta immediatamente o a breve distanza dall’evento lesivo, non è configurabile come danno biologico, giacché la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita, salvo che non intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte causata dalle stesse.
In questo caso, essendovi un’effettiva compromissione dell’integrità psico-fisica del soggetto che si protrae per la durata della vita, è configurabile un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, che si trasferisce agli eredi, i quali potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante iure hereditatis.
Anche un limitato arco di tempo infatti – sicuramente l’intervallo di 3 giorni decorso nella specie tra il sinistro e la morte – dà diritto agli eredi di avanzare la pretesa in argomento, sebbene in proporzione allo spatium vivendi. È la stessa compagnia assicuratrice, sottolinea la Corte, che contestando solo il quanto dell’importo da risarcire ma non il “se”, non ha messo in discussione il principio che il danno biologico è presente ugualmente sia che la vittima abbia coscienza della lesione, sia che non l’abbia, rilevando l’esistenza della lesione biopsichica, la quale è un fatto oggettivo, non avendo a tal fine rilevanza la coscienza o la percezione di essa che la vittima possa avere avuto.
Tuttavia la tecnica risarcitoria in materia di danno biologico da morte iure hereditatis consiste nel riconoscimento di una somma rapportata non già alla vita media futura della vittima, ma alla vita effettivamente vissuta; utilizzando a tal fine il parametro tabellare della liquidazione a punti per ogni giorno di invalidità assoluta con opportuno correttivo di congrua personalizzazione.
L’ammontare, si legge in sentenza, dovrà quindi essere commisurato all’inabilità temporanea, ma la liquidazione dovrà tenere conto, nell’adeguare la stessa alle circostanze del caso concreto, del fatto che, se pure temporaneo, tale danno è massimo nella sua entità ed intensità, essendo la lesione alla salute così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte.
Su questo punto, la Corte fa espresso riferimento a quello che gli Ermellini hanno chiamato “danno biologico terminale” .
Sicché il giudicante è arrivato ad accogliere il motivo di appello della compagnia assicuratrice, statuendo che in primo grado era stata operata una esorbitante liquidazione del danno non patrimoniale iure hereditatis a titolo di danno biologico – in quanto il criterio di calcolo applicato era quello della invalidità permanente, e non quello (corretto) della temporanea, così come invece indica la Corte d’Appello, laddove “il periodo di permanenza in vita è particolarmente ridotto”.
Allo stesso tempo a tale criterio, va applicato il correttivo delle circostanze del caso concreto, in quanto, tale danno sarà pur stato temporaneo, ma era massimo nella sua entità ed intensità, provocando una lesione così elevata da far sopraggiungere la morte.
Ragion per cui, facendo riferimento ai criteri di liquidazione di cui alla tabella predisposta dal Tribunale di Milano per la liquidazione del danno terminale e tenuto conto che la vittima è rimasta in vita dopo l’incidente soli 3 giorni, la Corte ha ritenuto che questo danno fosse valutabile nell’importo di 30.000 euro.
 
 

Avv. Bruno Annalisa

(Foro di Roma)

 
 
 
 
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