Nella liquidazione del danno da chirurgia estetica vanno calcolati anche i danni psicologici arrecati. Nuova ordinanza della Cassazione.

Con l’ordinanza n. 25109/2017 la Corte di Cassazione ribadisce che anche nel caso del danno da chirurgia estetica, derivato da un intervento chirurgico mal eseguito, per calcolare la portata effettiva del danno vanno considerati anche i fattori psichici e relazionali, oltre che quelli fisici.

Il fatto

Una modella si era sottoposta ad un intervento estetico. Quest’ultimo non solo non aveva prodotto il risultato sperato ma, non essendo perfettamente riuscito, le aveva lasciato delle brutte cicatrici sul corpo.
In particolare, la paziente appena ventenne si era sottoposta ad un intervento di ingrandimento del seno, liposuzione delle cosce e rinoplastica.
Durante il processo era stato accertato che, a causa della professione della donna, il danno da chirurgia estetica non si era limito ad arrecarle dei danni somatici dovuti alle antiestetiche cicatrici, ma anche una sofferenza psicosomatica.
La giovane infatti era caduta in una grave depressione, che nel tempo si era sì attenuata, ma che si era infine stabilizzata definitivamente in un equilibrio di sofferenza permanente.

La quantificazione del danno da chirurgia estetica

Una delle voci controverse per la quantificazione del danno da chirurgia estetica è stato la “perdita di chances”.
La giovane aveva iniziato infatti l’attività di modella per l’attività di famiglia. Ma, argomenta la Cassazione, nel caso di specie non era provato che si trattasse di una attività professionale, dato che era svolta nell’impresa di proprietà della madre.
Inoltre, riguardo alla sofferenza psicosomatica, osserva ancora la Cassazione, la CTU conclude ritenendo che “il danno biologico complessivo è quantificabile con difficoltà e va stabilito in via equitativa”.
Secondo la Suprema Corte, “tale danno è risultante da una pluralità di condizioni, come lo stato di ansia, di insicurezza, la compromissione della sfera affettiva in generale e il rapporto con l’altro sesso”.
Nel caso di specie, infatti, è stato proprio questo il punto in cui la donna si è trovata in disaccordo il giudice del merito.
Si è quindi rivolta in Cassazione per il riconoscimento dell’esatta quantificazione del danno biologico.

La decisione della Corte di Cassazione

Secondo la Suprema Corte, però, la Corte d’appello aveva valutato tutti i profili di danno in maniera adeguata.
La valutazione complessiva ha infatti tenuto conto anche dell’evoluzione del profilo psichico della patologia riscontrata.
Pertanto ha stabilito di confermare la sua decisione.
 
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